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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2013 alle ore 07:39.
L'ultima modifica è del 11 aprile 2013 alle ore 07:51.
Ha ragione Romano Prodi: nella gara del Quirinale vince chi subisce meno veti. Non conta tanto l'ampiezza del consenso, quanto la capacità di ridurre l'area dei dissensi e delle inimicizie. È un punto cruciale e rappresenta un ulteriore fattore d'incertezza, oltre a quelli legati alla bonaccia generale in cui annaspiamo. Emma Bonino, ad esempio, è un nome stimato, il suo profilo istituzionale è ineccepibile.
Nei sondaggi dei giornali è sempre al primo posto, come dire che sul piano mediatico non ha rivali. Eppure, o forse proprio per questo, i partiti sono molto diffidenti nei suoi confronti: talvolta il nome affiora e resta nell'aria per qualche ora, poi svanisce. Viceversa resta ben saldo nell'opinione pubblica. Esempio significativo dello scollamento fra politica e senso comune, come corollario allo stallo delle decisioni.
Si dice: ma una trattativa sta correndo sotto traccia, non è poi vero che le distanze fra i due maggiori schieramenti, Pd e Pdl, siano tanto ampie. Sarà pure, ma l'impressione è desolante. Manca una settimana all'inizio delle votazioni e la questione di fondo si può riassumere così. Un paese che da un mese e mezzo è senza governo (salvo l'ordinaria amministrazione affidata a Monti) è in grado di affrontare il disordine parlamentare che potrebbe prolungarsi per giorni e che sarebbe inevitabile se si arrivasse al 18 aprile senza un'intesa?
Probabilmente no. Del resto, tale intesa non può riguardare solo i criteri complessivi dell'elezione e magari il generico identikit del candidato ideale. Entro il 18 un eventuale accordo deve per forza comprendere anche il nome e il volto della persona (donna o uomo) che si vuole portare al Quirinale. Perché il senso di questa lunga fase preparatoria, che in verità assomiglia a una stasi estenuante, contiene una secca alternativa: o il capo dello Stato viene eletto entro le prime tre votazioni con la maggioranza dei due terzi (quindi sulla base di un patto leale fra Pd e Pdl), ovvero si entra in un tunnel dove può accadere di tutto.
Ora la domanda è: un Partito Democratico profondamente lacerato, come dimostra l'esplosione del contrasto fra Renzi e il vertice bersaniano, è in grado di onorare un accordo con il centrodestra senza frantumarsi? Sotto questo aspetto l'esclusione del sindaco di Firenze dal terzetto dei grandi elettori della regione Toscana, è peggio che un errore. È una dimostrazione di miopia che può avere serie conseguenze in una situazione già arroventata.
A sua volta Berlusconi vorrà sedersi sulla riva del fiume e attendere? Ma il rischio è che si finisca nella "roulette" della quarta votazione (e successive), quando basterà la maggioranza assoluta. Nei primi tre scrutini il leader del centrodestra è in grado di eleggere un candidato di equilibrio a lui gradito, purché non insista troppo sulla richiesta di un governo di grande coalizione. In seguito il quadro cambia e i Cinque Stelle entreranno in campo per ribaltare i giochi e forse diventare decisivi nella scelta di un presidente "innovativo". Il che contribuirebbe senza dubbio a spaccare il Pd.
Per farla breve, manca ancora una settimana. L'abilità consiste nel trovare un candidato che non abbia un numero esagerato di nemici e non sia sommerso dai veti. Se poi sarà una donna (Bonino, Severino, Cancellieri, Finocchiaro), diventerà "ipso facto" l'emblema del cambiamento.
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