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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 07:52.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2013 alle ore 08:23.

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Diciotto milioni di euro sono una somma insignificante per un gigante biofarmaceutico che nel 2012 ha annunciato un fatturato netto di 17,6 miliardi. L'ottobre scorso, la controllata italiana del gruppo americano Bristol Myers Squibb non ha perciò esitato a pagare quella cifra per chiudere un contenzioso con l'Agenzia delle entrate.

L'unico rischio era il danno reputazionale. E per questo Bms Srl ha fatto tutto in sordina. Nessun annuncio stampa, nessun comunicato agli investitori. Una piccola cifra per chiudere un piccolo incidente. La realtà è però ben altra cosa. Tre sostituti della Procura di Firenze - Luca Turco, Giuseppina Mione e Ettore Squillace Greco - hanno infatti portato alla luce una trama trentennale fatta di società offshore e accordi segreti con Alberto Aleotti, proprietario della Menarini e principale socio commerciale di Bms in Italia. Una lunga e meticolosa inchiesta condotta dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità di Firenze lascia pensare che questi accordi abbiano permesso ad Aleotti di evadere tasse, accumulando più di un miliardo di euro in vari paradisi fiscali sparsi per il mondo, e alla Bms di ottenere prezzi più alti del dovuto per i propri farmaci, con i conseguenti ricavi aggiuntivi dirottati su controllate estere registrate in Paesi con trattamento fiscale più favorevole. A farne le spese: il sistema sanitario nazionale e i cittadini privati che per decenni avrebbero pagato una sorta di sovratassa né dichiarata né giustificata.

Nell'ultimo bilancio, la multinazionale di base su Park Avenue, a Manhattan, ha minimizzato il tutto spiegando che «nell'ottobre 2012 è stato raggiunto un accordo» e che comunque «le accuse contro l'azienda riguardano sospette attività di un ex dipendente che ha lasciato l'azienda negli anni 90». Il riferimento è all'ex direttore generale di Bms Srl Guido Porporati.

Tempi di prescrizione a parte, Bristol Myers Squibb conta evidentemente sul fatto che i protagonisti della vicenda sono da anni in pensione. Invece c'è un legame diretto con l'attuale vertice della multinazionale newyorkese: l'amministratore delegato del gruppo Bms è infatti un italiano dal cognome pesante, Lamberto Andreotti, il figlio di Giulio, che in quanto responsabile della controllata italiana sul finire degli anni '90 e gli inizi del 2000 fu interessato agli accordi sottobanco con la Menarini.

Documenti sequestrati dai Nas attestano un rapporto personale tra l'attuale Ad della multinazionale e Alberto Aleotti. Quest'ultimo ha infatti seguito con grande attenzione la scalata al vertice della multinazionale da parte del figlio dell'ex primo ministro democristiano recentemente deceduto.

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