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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2013 alle ore 08:41.

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Dicevamo del successo di Onda. Che i suoi prodotti fossero assolutamente unici? Pare di no, perché, dalle chiavette Usb ai cellulari, Onda ha per anni venduto a Telecom prodotti comprati da altre aziende. Prima la finlandese Microcell e poi la cinese Zte, Questo passaggio commerciale tra l'altro non poteva non incidere sul prezzo pagato da Telecom. Che invece avrebbe potuto comprare direttamente da Zte, come fa la stessa Telefonica, azionista di Telecom Italia.
Che i prodotti di Onda fossero allora indistruttibili o di inarrivabile qualità? Le carte dicono qualcosa di diverso. In un rapporto redatto dalla struttura di audit di Telecom Italia si parla infatti di «carenze emerse nella qualità misurata/percepita in campo per il prodotto internet key (...) problemi di connettività (instabilità della connessione, disconnessioni frequenti, mancato riconoscimento Sim), problemi meccanici (slittamento Sim, debolezza del connettore Usb), incompatibilità e/o instabilità con i sistemi operativi».
Ma se il segreto del successo di Onda non è stata l'innovazione, non è stato il prezzo e non è stata la particolare qualità dei prodotti, come si spiega il suo successo commerciale? Potrebbe essere la forza della sua squadra? Il team di Onda viene da un gruppo industriale chiamato Telit, all'epoca legato al gigante assicurativo triestino Generali. Tra il 2000 e il 2002 l'ex direttore generale e attuale country manager per l'Italia di Generali Raffaele Agrusti è stato consigliere della controllata Telit Mobile Terminals Spa (Tmt), società produttrice di telefonini. Subito dopo di lui, in Tmt suo fratello Michelangelo ha avuto il ruolo di amministratore delegato. Nello stesso tempo, quest'ultimo era anche comproprietario di M85 Srl, società che vendeva gli stessi prodotti del gruppo Telit in Europa orientale e Medio Oriente. Insomma, Michelangelo Agrusti era simultaneamente manager e cliente di Telit.
In crisi profonda, con centinaia di milioni di euro di debiti accumulati nei confronti delle banche, Telit nel 2003 viene venduta alla società di telecomunicazioni israeliana Dai Telecom. Il suo unico patrimonio è rappresentato da un pacchetto di accordi di fornitura di cellulari con Tim (pari all'80% del fatturato). È questo a convincere gli israeliani a comprare. Il testo di un esposto successivamente inviato da Dai all'Authority per la concorrenza, ricostruisce la storia. Da lì scopriamo che all'inizio della trattativa «i rappresentanti del gruppo israeliano furono messi in contatto con il direttore generale di Tim, Dott. Mauro Sentinelli», perché «Telit si trovava in gravi difficoltà finanziarie, e per tale motivo gli amministratori, con il supporto della stessa Tim erano alla ricerca di un partner». Interessante, perché Sentinelli, all'epoca direttore generale di Tim, è successivamente divenuto presidente di Onda (ora riveste il ruolo di consigliere di amministrazione di Telecom Italia).
Ma torniamo al 2003. L'esposto suddetto sostiene che dopo l'acquisizione da parte di Dai, «nel luglio 2003, un gruppo di manager di Telit, tra i quali Sergio Vicari (ammistratore delegato), Michelangelo Agrusti (direttore vendite) e Jose Merino, decidevano di dare le dimissioni da Telit al fine di costituire una società in diretta concorrenza con Telit, denominata Bora. La nuova società avrebbe dovuto distribuire nel mercato (in particolare a Tim) i prodotti fabbricati da una terza società, Microcell, che già aveva un accordo di distribuzione in esclusiva con Telit per i medesimi prodotti».
Insomma, secondo quanto riportato nell'esposto, dopo la vendita della loro società, oberata da debiti e sull'orlo del fallimento, gli amministratori di Telit avevano pianificato di strappare ai nuovi azionisti l'unico suo asset - gli accordi commerciali di distribuzione in Italia dei cellulari prodotti da Microcell.
E Tim sembrerebbe essere stata al gioco. Da una mail inviata il 29 luglio 2003 da Jose Merino al direttore di Microcell (e in copia a Sergio Vicari) apprendiamo che Tim già allora stava negoziando un contratto con la neonata Bora. Il 31 agosto successivo, una mail di Vicari a Merino spiega che «guardando al web, sfortunatamente quando si fa una ricerca sul nome Bora appaiono foto pornografiche. Per questo, in accordo con il cliente, abbiamo deciso di cambiare nome della società in Onda Communication». Lo stesso giorno, in una mail scritta in inglese, Merino presenta ai finlandesi e a Vicari un business plan da Guiness dei primati: «Primi ordini del cliente al prezzo concordato (…) piano per Onda di superare il punto di pareggio nel quarto trimestre 2003, coprire anche i costi fissi nel primo trimestre 2004 e previsione di una ricca campagna estiva nel secondo trimestre 2004».
In effetti la nuova società fa appena a tempo a nascere che, 22 giorni dopo, riceve un ordine per 100mila telefonini Microcell da Tim. Che smette invece di comprare da Telit. Altro che camicia, Onda è nata con il completo da sera! La mail del 31 agosto 2003 si chiude spiegando uno degli ingredienti di questo exploit: «Una traduzione di questo messaggio in Italia sarà fornita a Michelangelo Agrusti, dato che cliente e banchiere sono suoi contatti personali, e che la sua reputazione è un qualcosa che tutti noi vogliamo mantenere intatta».
Peccato che non si sia prestata altrettanta attenzione alla reputazione dell'altro socio fondatore di Onda, Sergio Vicari, che proprio in quel periodo era impegnato anche in un'altra azienda del settore, la DiCom. Il 31 gennaio 2012 il Tribunale penale di Sassari ha condannato in primo grado Vicari «alla pena di quattro anni di reclusione» e lo ha «interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque». Che cosa ha fatto per meritare una tale sanzione? In poche parole: avrebbe finto di aprire un'azienda nei dintorni di Alghero, la DiCom appunto, e ha ottenuto sovvenzioni pubbliche dichiarando ripetutamente di aver investito milioni per opere murarie, macchinari e software poi tutti risultati «inesistenti». Particolarmente pesante il parere espresso nella decisione di un arbitrato sulla stessa vicenda: «L'arbitro unico ritiene, alla luce di quanto dianzi accertato, che le condotte in essere del Signor Sergio Vicari, costituiscano patente e ripetuta violazione degli obblighi su di lui gravanti nella sua qualità di amministratore unico e poi amministratore delegato di DiCom Spa (…) e ritiene acquisita la prova che tutte tali violazioni siano state poste in essere con l'elemento doloso della specifica volontarietà della condotta illecita (…)». L'arbitro dunque «accerta e dichiara la responsabilità del Signor Sergio Vicari (…) e condanna a risarcire il danno subito da DiCom Spa in amministrazione straordinaria nella misura di euro 4.893.382».

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