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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2013 alle ore 07:11.

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Il 16 aprile scorso abbiamo pubblicato sul Sole 24 Ore l'articolo dal titolo «Bankoro. Un piano per sfruttare le riserve». Un piano che se attuato renderebbe possibile una nuova dignità all'assetto proprietario della Banca d'Italia, la risoluzione degli immobilizzi delle banche italiane nelle quote della stessa (con beneficio della loro patrimonializzazione e della capacità di erogare risorse) e la contribuzione di un importo non marginale (13-14 miliardi di euro) al rilancio della nostra economia che necessita di risorse per le imprese e gli investimenti. Tre sono i dati di fatto da cui la proposta prese le mosse. Il primo è la Legge 2005, n. 262 (articolo 19), con la quale fu avviata la riforma dello statuto della Banca centrale, che aveva come termine attuativo il 31 dicembre 2008.

E ntro la fine del 2008 avrebbe dovuto essere definito, mediante un regolamento, l'assetto proprietario della nostra banca centrale escludendo i soggetti privati dall'«azionariato». Il che non è accaduto in palese violazione della norma. Il secondo fatto è che la Banca d'Italia detiene 79 milioni di once di riserve auree pari a oltre 2.400 tonnellate (superate nell'Uem solo da quelle della Germania pari a 109 milioni). Diversamente da altre banche dell'Eurosistema e dalla Bce,la Banca d'Italia non ha mai venduto oro dal 1999, da quando vige il «Central Bank gold agreement». Il terzo fatto è che il progetto Bankoro non prevede la vendita di oro italiano, ma solo di rivalutarlo per liquidare le partecipazioni dei privati nel capitale della Banca d'Italia. Il perno della proposta sta nella valorizzazione (ripetiamo, non nella vendita) dell'oro iscritto nel bilancio della Banca d'Italia con il suo conferimento a un'entità sua affiliata e il conseguente pagamento alle casse dello Stato dell'imposta sulle plusvalenze che verrebbero realizzate; con tali somme lo Stato si renderebbe acquirente di quelle stesse quote attraverso un veicolo finanziario costituito ad hoc. Il progetto Bankoro non ha avuto critiche motivate, ma solo assertive, come quella che si tratta di un progetto troppo complicato, che lo vieta lo statuto del Sebc, che non si può beneficiare solo chi ha le partecipazioni perché «l'oro è del popolo». A nostro avviso queste affermazioni trovano già risposta nel citato articolo al quale rinviamo, qui approfondendo e aggiornando alcuni aspetti non marginali.

1. Perché non «coriandolare» Bankit e come stimare le quote
Consideriamo innanzitutto una (poco velata) intervista a via Nazionale pubblicata su L'Espresso del 1° agosto. La valutazione patrimoniale delle quote Banca d'Italia viene giudicata estemporanea, mentre parrebbe soluzione gradita a una parte dei diretti interessati quella di trasformare la nostra banca centrale in un ente «privato» con assetto proprietario simile a quello di una public company. Dunque, si continua a non vedere la censurabilità del fatto che il vigilante sia posseduto dai vigilati; tutt'al più, par di capire, basterebbe diluire i possessi maggiori in una «coriandolata» di nuovi soci, dando libertà di negoziare le stesse quote del capitale della Banca d'Italia. Ma libertà di negoziazione implica la formazione di convenienze e di interessi privati che mal si conciliano con un ente centrale, per giunta vigilante. Si dimentica pure che un assetto «privato», oltre a essere impresentabile sul piano dei principi (non esiste al mondo una banca centrale di questo tipo), è già stato sanzionato dalla storia. Esso vigeva sino alla prima metà del secolo scorso, ma dovette essere faticosamente riformato nel 1936 «pubblicizzando» il nostro istituto centrale, sia pur con una soluzione «latina». Lo Stato non pervenne a possedere direttamente le quote del capitale, ma lo fece tramite istituti bancari e finanziari allora sotto il suo controllo. Perché i compiti di una banca centrale sono pubblici e il suo bilancio risente (nella generalità delle situazioni con esito «positivo») delle operazioni messe in atto per svolgere quegli stessi compiti.

Quanto al valore da attribuire all'istituto, una banca, la Carige, valuta correntemente le quote in suo possesso in base al patrimonio netto della Banca d'Italia (nel 2012: 23,5 miliardi di euro) e tale dato è stato in qualche modo «certificato» dalla stessa Banca d'Italia poiché nelle varie ispezioni che ha condotto (l'ultima appena conclusa) non ha eccepito alcunché su quella valutazione adottata dalla banca ligure per compilare il suo bilancio. Il che equivale a 78.500 euro per quota (dato 2012).

2. Una comparazione sul patrimonio netto delle Banche centrali europee
Nessuno si è cimentato sulla stima di questo valore mentre per tutelare lo status quo si afferma che la Bce si opporrebbe a una operazione come Bankoro così come si oppose nel 2009 a una modesta tassazione delle riserve auree. L'eventuale opposizione della Bce andrebbe motivata meglio di quella del 2009 e il governo italiano avrebbe elementi per opporsi in quanto il progetto lascia robusta la banca centrale, la cui proprietà è per giunta ricondotta in ambito pubblico, sottraendola agli interessi privati che, per quanto silenti, rappresentano un'anomalia che la legislazione italiana ha previsto di elidere. Ferme restando le prerogative d'indipendenza di cui godono gli istituti centrali dell'eurozona.

Per dare ulteriore forza alla proposta Bankoro presentiamo qui l'analisi della situazione patrimoniale dei principali enti centrali europei che nell'articolo del 16 aprile era stata solo accennata.

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