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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 13:31.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 15:10.

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L'8 marzo 2013, Kpmg ha inviato a Greco le sue conclusioni: «Dall'analisi delle posizioni detenute e della documentazione resa disponibile si sono riscontrate potenziali aree di rischio... con un impatto sul patrimonio netto consolidato del gruppo stimabile tra i 202,9 milioni e i 316,6 milioni».
Alla fine Generali ha cautelativamente iscritto a bilancio 234 milioni di perdite. Considerando che il valore totale delle operazioni analizzate era di circa 660 milioni di euro, si parla di una dispersione di oltre il 30 per cento.

Ma c'è perdita e perdita. Ci sono gli investimenti o i prestiti che con il tempo si rivelano sbagliati. E ci sono quelli che violano le regole. In questo caso, su circa 200 dei 234 milioni, gli esperti ingaggiati da Generali hanno rilevato violazioni delle regole interne. Particolarmente utile è un rapporto dello studio legale Bonelli Erede Pappalardo, al quale Generali ha chiesto di «valutare, sul piano civilistico, l'emersione di fatti che possano configurare una responsabilità nei confronti della Società imputabile all'ex Amministratore Delegato Giovanni Perissinotto e al Direttore Generale Raffaele Agrusti» (il secondo non è più direttore generale ma fino al 1 ottobre è stato capo di Generali Italia e rimarrà nel gruppo triestino fino a fine anno).

Conclusione del rinomato studio legale milanese: «È possibile ragionevolmente concludere che, nell'esercizio delle cariche e delle funzioni a ciascuno attribuite, sia Giovanni Perissinotto sia Raffaele Agrusti, sotto diversi profili, non abbiano adempiuto ai loro doveri con la diligenza dovuta e nei limiti delle deleghe ricevute».
Il Sole 24 Ore ha contattato telefonicamente l'ex Ad di Generali, il quale però ci ha detto di non voler fare commenti (così come nessuna replica ci è stata data da Agrusti).

Ma se fosse come sostengono Kpmg e lo studio Erede, come mai Generali ha consentito a Perissinotto di lasciare disinvoltamente con una ricca buonuscita? Perché non è stata intrapresa la strada di un'azione legale in sede civile? I tre motivi principali sono esposti nello stesso rapporto dello studio Erede. Che torniamo a citare testualmente: «a) Molte delle risultanze delle indagini, specialmente quelle che attengono alle "modalità" con le quali le varie operazioni sono state decise e realizzate, hanno carattere per così dire "negativo" (non si sono rinvenute perizie, non è chiara la finalità, ecc.)... e, pur nella loro complessiva serietà si tratta, in molti casi, di risultanze indiziarie, il cui significato potrebbe essere smentito da elementi non noti… b) A fronte del sicuramente gravoso ulteriore impegno di risorse in un contenzioso del genere considerato, l'ammontare del danno effettivamente recuperabile all'esito dei giudizi difficilmente si avvicinerebbe a quelli subiti, c) Nell'intraprendere un contenzioso… nei confronti di due esponenti apicali della società, non può trascurarsi di considerare il pericolo di un collaterale effetto pregiudizievole per la reputazione della Società sul mercato».

Fin qui le considerazioni di ordine generale. Ma veniamo alle specifiche operazioni ritenute "problematiche". Ne sono state individuate sette. Tutte e sette con la stessa connotazione: hanno direttamente o indirettamente riguardato soggetti che attraverso i veicoli Ferak ed Effeti oggi controllano una quota significativa del capitale di Generali. Per fare nomi e cognomi parliamo della merchant bank Fin.Int. di Enrico Marchi e Andrea De Vido - quella che attraverso Agorà controlla gli aeroporti di Venezia e alla quale Generali ha appena deciso di vendere la propria partecipazione - della holding di investimento Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo, e del gruppo Valbruna della famiglia Amenduni.

Le caratteristiche di queste sette operazioni sono: 1) Generali ha investito una montagna di soldi e ne ha persi, o rischia di perderne, gran parte; 2) I beneficiari o titolari di tali investimenti erano veicoli collegabili a uno dei tre suddetti gruppi che già erano, oppure sono diventati subito dopo, azionisti di Generali stessa; 3) Nonostante i soggetti interessati, le società controllanti e/o gli investimenti fossero in Italia, le operazioni sono state spesso condotte con una pletora di veicoli finanziari registrati offshore - tra Caraibi, Lussemburgo, e Panama; 4) Kpmg ha rilevato che «nessuna delle operazioni esaminate è stata oggetto di delibera preventiva o di ratifica da parte del Consiglio di Amministrazione e i verbali delle adunanze del Consiglio di Amministrazione non riportano informative specifiche successive in merito all'andamento degli investimenti oggetto del nostro incarico»; 5) A detta dello studio Erede, in un'operazione «non risulta alcuna analisi del merito creditizio del soggetto finanziato e/o dei suoi eventuali garanti», in due «il valore complessivo dell'investimento è risultato pari a circa il doppio di quello consentito», in tre «non sono stati approntati strumenti e/o strutture di monitoraggio e di presidio dell'investimento» e in altre quattro non solo l'Amministratore delegato ha deciso gli investimenti «in assenza dei necessari poteri» ma «non risulta alcuna perizia valutativa delle partecipazioni e degli strumenti finanziari acquisiti dal gruppo, e/o alcuna analisi dei rispettivi mercati» e «non sono stati approntati strumenti e/o strutture di protezione e/o di presidio degli investimenti in questione».

«Queste operazioni appaiono anomale non solo per la mancanza della dovuta informativa verso gli organi amministrativi ma per le loro finalità, ben diverse da quelle aziendali», commenta un esperto consultato da Il Sole 24 Ore il quale però chiede l'anonimato.

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