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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2014 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 05 marzo 2014 alle ore 08:24.

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Niente pubblicità, nessuna vetrina accattivante in centro storico e zero cortesia. Al contrario, la "banca" abusiva della 'ndrangheta della provincia di Monza e Brianza era un tugurio (come loro stessi lo definivano) all'interno di una vecchia casa di corte di Seveso, strutturato in un unico monolocale senza finestre né bagno, all'interno del quale i servizi offerti variavano dalle minacce alle ritorsioni.

Con l'operazione della Dda di Milano che ha coordinato l'indagine (procuratore aggiunto Ilda Boccassini, sostituto Giuseppe D'Amico) e la Polizia che l'ha condotta, ieri sono state arrestate a vario titolo 40 persone (di cui 19 ai domiciliari) per i reati di associazione mafiosa, riciclaggio, usura, estorsione, corruzione, esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di beni e società. Sequestrati beni per decine di milioni.
Da quel tugurio, la "banca" clandestina della 'ndrangheta, secondo la Dda e la Polizia di Milano, muoveva abusivamente centinaia di milioni all'anno di provenienza delittuosa, investendoli in operazioni finanziarie e speculazioni immobiliare illecite. Era talmente liquida, che si permetteva non solo di finanziare, senza alcuna difficoltà, le imprese ma persino di investire in attività di copertura in Svizzera e San Marino, Paesi nei quali fiorivano anche conti correnti e di mettere in piedi o rilevare attività commerciali e imprenditoriali (dai lavori pubblici all'edilizia, dai trasporti al settore nautico per finire con le energie rinnovabili), alcune delle quali servivano da schermo per i capitali illecitamente acquisiti.

La presunta associazione mafiosa aveva a disposizione così tanti soldi che non soltanto riusciva a stipendiare alcuni affiliati e a distribuire gli utili tra i fedelissimi ma, attraverso il ricorso a "spalloni", esportava soldi in Svizzera a colpi di 173mila euro e otteneva con la compiacenza di alcuni funzionari bancari e postali (che venivano corrotti per omettere i controlli antiriciclaggio previsti per legge) leasing e mutui bancari che costituivano un ulteriore provvista liquida da impiegare nelle operazioni finanziarie illecite.
«In quell'ufficio hanno avuto la possibilità di irretire imprenditori, alcuni dei quali hanno visto la convenienza di frodare lo Stato con fatture false, assegni con prestanome e altro – ha dichiarato Boccassini – e ciò per favorire sé stessi, non le proprie aziende né il nostro Paese. Al centro di tutto c'è la potenza economica dell'organizzazione, che avendo capitali freschi in un periodo di crisi, diventa attraente per molti. Un elemento preoccupante è il fatto che, ancora una volta, abbiamo trovato imprenditori usurati e malmenati che hanno preferito non denunciare».

Agli imprenditori è mancato il coraggio di denunciare, hanno ricordato anche il capo della Squadra mobile di Milano, Alessandro Giuliano e il Gip Simone Luerti, che il 12 febbraio ha firmato le 706 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare. La presunta associazione mafiosa "vendeva" agli imprenditori che ne facevano richiesta, somme di denaro contante a un costo variabile tra il 5% ed il 10% del capitale erogato. Tutti cadevano nella rete. Tra le vittime ci sono anche il vicepresidente esecutivo del Genoa Antonio Rosati e l'ex presidente della Nocerina Giuseppe De Marinis.
A capo di questo universo finanziario parallelo, c'era, secondo la Procura di Milano, Giuseppe Pensabene, 48 anni, di Montebello Jonico (Reggio Calabria), residente a Seveso, che dopo gli arresti dell'operazione Infinito del 13 luglio 2010, era diventato il co-reggente della locale di 'ndrangheta (ossia una cellula strutturata con almeno 50 affiliati) di Desio. Secondo gli inquirenti è affiliato formalmente alla cosca Imerti di Villa San Giovanni e di Fiumara Guardia (Reggio Calabria) fin dagli anni 80 e ha operato come "fiduciario" alle dirette dipendenze del capo-bastone Antonino Imerti.

In alcune intercettazioni ambientali, lui stesso si definisce testualmente una «lavanderia». È interessante notare che il riciclaggio a tutto campo di denaro sporco proveniva per lo più (si legge a pagina 62 dell'ordinanza) dalle cosche della 'ndrangheta reggina, ma anche da quelle della Lombardia. Tutti i diversi reati che Pensabene compie «hanno come unico scopo ultimo il riciclaggio, tanto che anche le usure, le conseguenti estorsioni e l'esercizio abusivo del credito finiscono per essere forme di riciclaggio, integrate da fattispecie incriminatrici concorrenti con il principale delitto».
Uno dei suoi principali collaboratori ha definito Pensabene come una sorta di Banca d'Italia. Intercettato all'interno del "tugurio", si lascia andare a questa dichiarazione: «Ah, già stasera la devi vedere? Mannaggia...ci vuole la Banca di Italia per davvero con te...abbiamo bisogno della Banca di Italia? Tutti i giorni abbiamo...50, 60, 30...». Secondo la ricostruzione che si può leggere a pagina 63 dell'ordinanza, il braccio destro di Pensabene si riferisce a somme di denaro contante variabili dai 30 ai 60mila euro.
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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