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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 21 giugno 2014 alle ore 09:59.

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Centravanti e fondi d'investimento. È il binomio che va in scena al Mondiale, sempre più Borsa globale del calciomercato. Sui campi di Brasile 2014 in queste settimane si contendono la «Copa» 736 calciatori i quali, tra gol, assist e qualche défaillance vedono oscillare le "quotazioni" personali facendo lievitare o ridurre il patrimonio dei club.

E non solo. Visto che i "cartellini" di un numero sempre più ampio di atleti appartiene a società o fondi di investimento privati che speculano sul loro prezzo analogamente (fatte le debite proporzioni) a quanto accade per il mercato petrolifero o dei metalli pregiati. Una prassi su cui per ora la Fifa, al contrario della Uefa che vorrebbe bandirli, ha chiuso un occhio. Del resto, il valore del parco giocatori di Brasile 2014 sfiora i 6,3 miliardi di euro (secondo il sito specializzato transfermarkt.it). Una "ricchezza" che i Lloyd's, in una ricerca condotta con Cebr (Centre for Economics and Business Research), stimano addirittura in 7,7 miliardi di euro. Da quest'indagine, emerge ad esempio che Germania, Spagna, Inghilterra e Brasile hanno le squadre più costose in termini di valore assicurabile, mentre l'Italia è decima con un valore complessivo pari a 244 milioni e un valore medio per giocatore di 10,6 milioni. Già in queste prime giornate di Mondiale hanno cambiato casacca alcune "stelle" della manifestazione per un controvalore di quasi 120 milioni (David Luiz passato per 49,5 milioni dal Chelsea al Paris Saint-Germain, Fabregas per 33 milioni dal Barcellona al Chelsea, l'italiano Ciro Immobile "emigrato" in Germania al Borussia Dortmund per circa 20 milioni e il croato Rakitic trasferitosi per 15 milioni da Siviglia a Barcellona). Gli asset economici delle campagne trasferimenti hanno assunto dimensioni talmente elevate che la Fifa ha dovuto imporre un sistema di transazioni centralizzato, il Transfer Matching System (TMS), sul quale dal 1° ottobre 2010 devono essere registrati tutti gli "scambi" internazionali. Lo scorso anno il calciomercato a livello mondiale ha generato un giro d'affari di 2,7 miliardi di euro, con un incremento del +41% rispetto al 2012, quando il valore dei trasferimenti si era fermato a 1,9 miliardi. Tra il gennaio e l'estate del 2013 sono stati censiti dalla banca dati della Fifa 12.309 nuovi contratti (+4,4% rispetto al 2012).

La crescita è stata trainata dai club del Vecchio Continente che hanno sostenuto il 90% delle spese, con in testa la Premier league i cui team hanno realizzato affari in entrata per circa 670 milioni di euro (il 25% del calciomercato mondiale). La Serie A si è piazzata al secondo posto con una spesa di 475 milioni (+120% rispetto al 2012) davanti alla Francia (420 milioni). Quello italiano però è stato anche il torneo che ha incassato di più (436 milioni, +140%) dopo la Spagna per via dei tanti campioni volati all'estero (da Cavani a Lamela). È stato invece il Brasile a far registrare in assoluto maggiori acquisti e cessioni (1.402), soprattutto sull'asse con il Portogallo. Nel 2013 si è avuto un incremento delle transazioni anche per i club africani (+10%), nordamericani (9%) e asiatici (+3%). E se l'Africa si è confermato come un continente "esportatore", le leghe nordamericane e asiatiche stanno diventando sempre più "importatrici" di calciatori stranieri. I Paesi del Golfo stanno diventando players significativi nel mercato internazionale: Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia saudita sono tra i primi dieci paesi per spese di trasferimento (con investimenti per 80 milioni di euro annui). Non a caso un ex campione del Mondo come lo spagnolo Xavi ha appena lasciato il Barcellona per accasarsi in Qatar all'Al Arabi. In oltre un terzo di questi affari sono stati coinvolti gli interessi di fondi e società d'investimento privati, come ha portato alla luce lo studio del Centre de Droit et d'Economie du Sport (Cdes) analizzato a San Paolo lo scorso 11 giugno nell'ambito del congresso Fifa. Lo studio ha stabilito il valore attuale delle Tpo (Third-party ownership, ovvero le quote dei cartellini dei giocatori detenute da soggetti esterni alle società calcistiche) in circa 360 milioni di dollari. Una cifra approssimata (e di molto) per difetto. Secondo una ricerca di Kpmg Spagna in effetti le quote degli investitori "indipendenti" solo nei cartellini dei giovani calciatori in Europa valgono 1,1 miliardi di euro (1,5 miliardi dollari).

La pratica delle Tpo è diffusa in 10 paesi dell'Europa orientale, dove gli investitori detengono circa il 40% del valore di mercato dei giocatori, e sta aumentando in Spagna, Portogallo e Paesi Bassi. I club europei, sempre secondo Kpmg, avrebbero venduto partecipazioni in 1.100 giocatori. In Brasile, dove la prassi delle Tpo è nata, gli investitori avrebbero oggi partecipazioni in circa il 90% dei giocatori di prima divisione. Per questo la Uefa e il presidente Michel Platini spingono per un divieto totale di queste operazioni (dal 2015 si poterebbe arrivare alla squalifica dei club che vi fanno ricorso), come esiste già in Premier League e di fatto in Bundesliga e in Serie A. D'altro canto, tra l'interesse di molti e le forti preoccupazioni di altri che vedono in ciò un attentato alla genuinità del Calcio, fondi e società di investimento, come il Doyen Sports, premono alle frontiere inglesi e italiane (come anticipato sul Sole 24 Ore del 24 maggio 2014), pronti a finanziare i club a corto di liquidità.

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