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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2014 alle ore 10:14.
L'ultima modifica è del 14 luglio 2014 alle ore 21:26.

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E adesso lasciamoli in pace per un po', Pelé e Maradona, sul loro trono a due posti da imperatori del calcio. Se proprio dobbiamo allargarlo, quel trono, il posto in più diamolo ad Alfredo Di Stefano, come del resto dovrebbe essere: i campioni di oggi hanno ancora molta strada da fare per raggiungere gli irraggiungibili.

Messi come Maradona? Per favore, cerchiamo di non infierire sulla Storia del calcio, quella con la S maiuscola. Maradona si è presentato in buone condizioni a due Mondiali: il primo, quello del 1986, l'ha vinto caricandosi l'Argentina sulle spalle e senza bucare una sola partita. Il secondo, nel 1994, l'ha perso nel laboratorio analisi quando la Fifa, che aveva fatto di tutto pur di averlo in campo, si era accorta che si era rimesso in forma fin troppo bene e che, con un Maradona in quelle condizioni, quell'Argentina avrebbe potuto arrivare fino in fondo e vincere il titolo. Nel 1990, quando era fuori condizione, arrivò comunque alla finale, proprio contro la Germania: incideva meno del solito in prima persona, ma illuminava il gioco dei compagni.

La Germania ha vinto con pieno merito un Mondiale mediocre, in cui le stelle (o presunte tali) non hanno brillato se non a sprazzi. Doveva essere il momento di Neymar, Messi e Cristiano Ronaldo: una sorta di sfida all'ultimo dribbling per capire chi, fra i tre supercampioni in attività, fosse davvero il più forte.

Cristiano Ronaldo non ha praticamente partecipato al torneo, menomato da un infortunio dal quale non si è ripreso in tempo. Il Portogallo senza di lui non poteva fare strada, ma la sensazione è che anche con Ronaldo al cento per cento la squadra fosse ben lontana dall'accettabile.

Neymar è stato stroncato dall'entrata di Zuniga: stava giocando bene, ma chi ricorda i momenti d'oro di Pelé e Maradona sorride con ironia quando si azzardano paragoni. Purtroppo per lui è capitato con il peggior Brasile degli ultimi 50 anni, per portarlo al titolo che tutti sognavano ci sarebbe voluto il miglior O'Rey, O'Ney non poteva bastare.

Messi ha regalato sprazzi di genio, ma ha bucato in modo inaspettato proprio le due partite più importanti, la semifinale con l'Olanda e la finale di ieri sera. Si è acceso in qualche azione, ma non è riuscito a incidere. Quando si è trovato da solo davanti al portiere tedesco e ha messo la palla a lato abbiamo capito che la corona di Maradona era salva: il «pibe de oro» quel pallone lo avrebbe messo in porta. Di sinistro o di mano, inventandosi l'impossibile, ma lo avrebbe messo in porta.

La Germania ha vinto con pieno merito un Mondiale modesto dove oltre ai tre fenomeni abbiamo visto Robben sparire nella semifinale, proprio quando l'Olanda avrebbe avuto più bisogno di lui. Lo stesso si può dire di Van Persie, che dopo la tripletta dell'avvio non ha regalato conferme. James Rodriguez si è spento nella partita decisiva, ai quarti con un Brasile che avremmo capito solo più avanti quanto fosse davvero debole. Di Suarez resterà nella memoria il morso a Chiellini, di Cavani niente, di Pirlo e Balotelli solo la prima partita del girone, contro un'Inghilterra nella quale Wayne Rooney e Lampard non sono pervenuti.

La Germania ha vinto con pieno merito un Mondiale dove le partite più belle le abbiamo viste agli ottavi di finale: lì siamo stati sul punto di assistere alla grande sorpresa, ma poi non ce n'è stata nemmeno una. Un Mondiale condizionato dal clima e, forse, anche dalle troppe partite che si giocano nei club per sperare che i giocatori potessero dare il massimo anche in Brasile. Le semifinali sono state noiose, perchè anche il 7-1 della Germania sui padroni di casa non può certo essere definita una bella partita.

Nel calcio di oggi il fisico prevale sulla tecnica, la tattica sulla fantasia: i campioni che possono regalare giocate fuori dal normale finiscono spesso sacrificati sull'altare degli schemi o stroncati da infortuni muscolari più che da scontri di gioco (Neymar a parte). La Germania ha saputo interpretare al meglio questo calcio: che è meno bello e spettacolare di quello che vorremmo, ma capire il momento e sfruttarlo al massimo è solo un merito.

L'unica cosa da non fare è buttarsi a copiare i tedeschi: la lucida programmazione è nel loro Dna, non in quello dei brasiliani o degli italiani, tanto per limitarsi a chi ha vinto tanto quanto (o più) di loro. Se Messi ieri sera non avesse sbagliato davanti al portiere oggi ci sarebbero celebrazioni diverse, se Higuain ae Palacio non avessero sprecato in modo incredibile staremmo assistendo alla glorificazione della capacità tattica di Sabella e del calcio all'italiana (di una volta) dell'Argentina. Paese dove non ci sono soldi, programmazione e bilanci in ordine come nei club tedeschi. Paese dove i migliori emigrano per andare a giocare in Europa. Eppure erano lì, in finale, a rischiare più di una volta di far fuori Thomas Müller e compagni.

La Germania ha vinto con pieno merito un Mondiale modesto. Le strade per il rilancio, non solo della nostra Nazionale, sono "anche" quelle della programmazione: non guasta mai e semplifica la vita. Ma a fare la differenza con pochissime eccezioni, e il Mondiale appena concluso è una di queste, sono e saranno sempre i campioni. Che in Brasile, per una volta, hanno passato la mano. Arrivederci in Russia, tra quattro anni.

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