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Pasticci e realtà nella partita greca

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la catena di errori

Pasticci e realtà nella partita greca

Nonostante le dovute rassicurazioni dei governi (compreso quello europeo) e delle autorità tecniche, nessuno può prevedere fino in fondo l'impatto sull'euro e sulla stessa Europa del crollo della Grecia. Per questo il tempo degli orologi del negoziato informale scorre di fatto più lento. Per questo si continua a interloquire, ora più sotto che sopra il tavolo, in vista del referendum di domenica ad Atene divenuto troppo scomodo per tutti, a cominciare da Alexis Tsipras che l'ha promosso.

Resta ferma, ovviamente, la posizione della Germania, dove il ministro dell'economia Wolfgang Schäuble, depositario di una dottrina intransigente sulla base della quale ha appena blindato fino al 2019 il pareggio di bilancio tedesco, punta ad una resa dei conti fondata sulla preventiva contabilità ateniese dei sì e dei no. Posizione sulla quale la Commissione europea si è ieri ufficialmente allineata, lasciando isolate le parole pro-accordo subito del presidente francese François Hollande.

D'altra parte i mercati possono guadagnare bene anche nell'incertezza, ma non se questa diventa un buco nero a motivo di un'imprevedibilità di fondo. Oggi tifano, fiduciosi in un accordo al pari della stragrande maggioranza dei cittadini europei, perché in qualche modo quel buco non si materializzi e confidano in una soluzione portata dalla “mano” politica.

C'è da augurarsi che il pericolo venga scongiurato, ma a condizione di essere consapevoli che non sarà un accordo compromissorio last minute per la Grecia o un pasticcio successivo al referendum a spezzare una catena di doppiezze e errori (molti quelli del governo Tsipras) e a restituirci una più forte e ragionevole fiducia sui destini della moneta unica e della costruzione europea. La partita, che vale anche per le scelte che maturerà l'Italia a Bruxelles e a Roma, è soprattutto questa. E non è con il piatto euro-conformismo o con lo stanco richiamo ai “padri fondatori” che si farà qualche progresso.

Principio di realtà esige che si dicano le cose come stanno. Il caso-Grecia, in sé poco rilevante in termini finanziari al suo scoppio nel 2010, è stato colpevolmente sottovalutato in termini sociali, storici, culturali e di ricadute sull'eurozona. L'Europa se lo trascina dietro da molti anni. Troppi. E alla fine si trova a dover fare i conti con la possibile uscita – non solo dall'euro, non solo dall'Europa, forse addirittura dall'Occidente- di un Paese sì piccolo ma coriaceo, al cui destino geo-politico sono ora interessate non a caso Washington, Mosca, Pechino. Un capolavoro diplomatico all'incontrario dopo averlo ammesso nell'eurozona chiudendo non un occhio ma due.

Già all'inizio dell'autunno del 2011, voci autorevoli con punti di vista diversi tra loro avevano invitato ad aprire meglio gli occhi. Lo aveva fatto il Papa tedesco, Benedetto XVI, nel suo discorso al Bundestag di Berlino, insistendo sulla cultura e sull'identità dell'Europa nata “dall'incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, dall'incontro fra la fede in Dio d'Israele, la ragione filosofica dei Greci ed il pensiero giuridico di Roma”. Negli stessi giorni l'Economist avvertiva che l'eurozona aveva fatto troppo affidamento “su due cose: l'austerità e la pretesa che andava tutto bene…ma spingere economie già indebolite verso la recessione aumenta solo la preoccupazione, sia per il debito sia per le banche europee”. “Il piano per il salvataggio di Atene concordato a luglio deve essere buttato via e riscritto, il debito greco va ristrutturato ma il paese va lasciato nell'euro. Un default greco potrebbe creare problemi a molte banche, non solo greche”.

Errori, ritardi. “Quando è scoppiata, la crisi – ha detto nell'ottobre 2014 il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, di fronte al collega Jens Weidmann presidente della Bundesbank- si è cominciato, anziché da una condivisione di obiettivi di bilancio, dai test sulle banche; poi siamo intervenuti in Grecia con una ristrutturazione del debito, invece di risolvere i problemi dell'economia reale”.

Fatta eccezione per la straordinaria svolta della BCE guidata da Mario Draghi, in questo politicamente sostenuto da Angela Merkel, l'Europa non è riuscita nella sostanza a cambiare passo nemmeno quando l'onda eurocritica si è rafforzata mettendo a nudo la sua politica d'austerity a senso unico e la sua asfittica governance economica. Matteo Renzi, ieri a colloquio a Berlino con la Merkel, ha detto che tra austerity e irresponsabilità c'è una “terza via”, quella del “coraggio della crescita”. Ottimo. Però bisogna specificare in cosa consiste questo coraggio e se si può, per fare un solo esempio, rivedere il totem del tetto del 3% in rapporto al PIL (come da proposta originaria di Renzi “rottamatore”). Di fatti e di scelte chiare ha bisogno l'Europa, non di mezze soluzioni. Come dimostra il caso-Grecia.

@guidogentili1

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