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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 18:08.

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Cento passi per la legalitàCento passi per la legalità

DOMENICO MODAFFERI. Esiste uno stereotipo radicato: quello che con i rom non ci sia niente da fare, che ce l'abbiano nel sangue di non rispettare le regole, di vivere da parassiti nei confronti della società. Noi, attraverso la formazione al lavoro, abbiamo educato al rispetto delle regole della convivenza, smontando questo luogo comune. In una città come Reggio Calabria, coi problemi di disagio e disoccupazione che esistono, la nostra cooperativa offre lavoro regolare ai rom, nel campo ecologico e dello smaltimento dei rifiuti. Ricordo un episodio all'inizio della nostra attività: in un quartiere della città avevamo da poco incominciato a fare manutenzione del verde; una signora, passando, commenta visibilmente soddisfatta: «Finalmente il Comune ci manda qualcuno!». Avendole spiegato che si trattava di ragazzi rom, la signora si ferma e dice in dialetto: «Chisti sun zingari fora»; ovvero, questi non possono essere zingari di Reggio Calabria... Lo stereotipo del rom incapace di lavorare era messo in crisi. La sua sorpresa era il segno del percorso culturale che stavamo avviando.
Abbiamo sempre pensato che per creare le condizioni di integrazione non si dovesse fare un percorso di assistenzialismo, ma di rispetto delle regole del lavoro e della convivenza.
In questo senso, per educare al rispetto della legalità, è stato importante anche ottenere come sede della cooperativa un bene confiscato alla ‘ndrangheta. Lo stato, assegnandocelo, ha affermato il principio della legalità togliendo un bene al malavitoso e affidandolo a chi, vivendo nel disagio, ha sempre considerato il malavitoso un soggetto vincitore. Lavorare in una struttura confiscata è stato educativo per tutta la comunità rom, perché ha fatto capire che non sempre la persona che ha il potere criminale nella città riesce a farla franca.
Quello che mette in crisi il percorso di educazione alla legalità attraverso il lavoro è, invece, la lontananza delle istituzioni. Ad esempio, la mancanza di appalti per la cooperativa. Questo fa vacillare la fiducia nelle regole che cerchiamo di costruire con la nostra attività. Cosa rispondo se un rom, padre di famiglia, mi dice: «Io ho scelto di lavorare e di sudare, anche rispetto a tanti altri rom che hanno voluto scegliere strade più comode... loro però adesso i 50 euro per dare il pane ai figli li hanno, io no».
Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa sociale Rom 1995, nata con l'obiettivo di allontanare i rom da emarginazione e devianza attraverso percorsi di inserimento lavorativo nella gestione dei rifiuti solidi urbani. La cooperativa ha sede in un immobile confiscato alla ' ‘ndrangheta.

ROSARIA CAPACCHIONE

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