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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 20:35.

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Ma secondo i non-filosofi più impazienti – e anche secondo qualche filosofo poco informato ma con accesso ai giornali – queste astruserie medievali oggi interessano ben poco. E invece no, perché la discussione sul realismo è ancora ben viva: e ciò sia in senso generale sia, soprattutto, in alcuni ambiti in cui si sviluppa all'intersezione tra la filosofia e le scienze naturali e sociali. Si pensi alla filosofia della biologia, dove oggi si dibatte con vivacità se il concetto di specie, che evidentemente è un «universale», trovi rispondenza nella realtà dei viventi o sia solo un utile costrutto teorico, cui non bisogna attribuire valore assoluto.

Oppure si consideri il classico tema dell'esistenza delle entità collettive come le società, le classi o le multinazionali. Alcuni filosofi e scienziati sociali (i realisti) pensano che le entità collettive esistano veramente, altri (gli antirealisti) lo negano perché credono soltanto nell'esistenza degli individui. Da questa alternativa teorica discendono posizioni diverse su problemi concreti molto rilevanti, come la famosa «corporate responsibility»: a tal riguardo, gli economisti antirealisti sosterranno infatti che alle imprese non è lecito attribuire responsabilità per i danni che eventualmente causano (tutt'al più ne potranno rispondere singoli dirigenti), mentre gli economisti realisti pensano il contrario.

O, ancora, si pensi alla programmata nuova edizione del Dsm (il famoso Diagnostic and statistical manual of mental disorders), da cui i curatori volevano espungere disturbi della personalità quali il narcisismo, perché non sembrano corrispondervi patologie neurologiche. Ne è scaturita un'accesa discussione: per alcuni quei disturbi della personalità sono in realtà etichette vuote, che non designano alcun disordine psichico reale; per altri invece denotano patologie autentiche e perciò vanno inclusi nel Dsm, anche in mancanza di riscontri neurologici. Un altro bisticcio tra realisti e anti-realisti, evidentemente. (Ultim'ora: pare che i realisti l'abbiano spuntata e che il narcisismo rimarrà nel Dsm).

Di interesse generale ancora maggiore è infine il cosiddetto «realismo semantico», la concezione secondo cui la verità o la falsità dei nostri giudizi non dipende da convenzioni, linguaggio e cultura, ma da com'è fatto il mondo esterno. Ci possiamo chiedere, per esempio, se un giudizio etico come «discriminare persone di un diverso gruppo etnico è immorale» sia vero oggettivamente. Detto altrimenti: se una persona di un'altra cultura negasse che quel giudizio è vero, potremmo sostenere che sbaglia oppure dovremmo limitarci a rilevare che esprime una posizione tanto legittima quanto la nostra? Se riteniamo che sbagli, siamo dalla parte dei realisti; altrimenti siamo con gli antirealisti (postmoderni, relativisti, pensierodebolisti eccetera). Ma, quale che sia la nostra risposta, ciò che proprio non si può sostenere è che tale questione sia un'ubbia dei filosofi. E ciò mostra – oltre alla legittimità – anche l'urgenza della discussione sul realismo.

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