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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2011 alle ore 13:55.

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Il grande fallimento della biblioteconomia è che troppi bibliotecari definiscono la disciplina attraverso le sue funzioni. Siamo bibliotecari perché cataloghiamo. I bibliotecari fanno ricerche nei database. I bibliotecari sono persone che raccolgono e conservano libri. Lo vediamo nel modo in cui organizziamo noi stessi. Non siamo più semplicemente bibliotecari, siamo bibliotecari accademici, bibliotecari specialistici, system-librarians. Abbiamo preso i sistemi di classificazione riduzionista che abbiamo sempre usato per i nostri libri, e li abbiamo applicati su di noi. Il risultato è una frammentazione conflittuale di competenze e di priorità. In questa frammentazione ci poniamo l'uno contro l'altro. Invece di vedere positivamente l'assunzione di un nuovo bibliotecario, vediamo l'assunzione di un bibliotecario di reference come un posto in meno per un nuovo catalogatore, o per un bibliotecaro specializzato, o per qualche altro ruolo di qualche altra divisione.

E c'è di peggio. Una volta che inizi a definirti in base a quello che fai, nuovi modi di fare le cose diventano una minaccia. O peggio ancora, se c'è già qualcuno che si occupa di cose simili, si crea una competizione. Google è una minaccia perché indicizza il mondo senza usare la catalogazione descrittiva. Quindi noi cerchiamo di liberarcene perché non permette di compiere ricerche combinate e, va da sé, non esegue alcun controllo di autorità. Amazon è una minaccia perché ti procura dei libri. Peggio ancora, permette alla gente di prenderli in prestito sul loro Kindle.

E qual è la nostra risposta a queste cosiddette minacce? Abbiamo costruito un nuovo Google, noi bibliotecari, o una nuova piattaforma di ebook? No; abbiamo invece iniziato a usare anche noi Google e Amazon, perché alla fine funzionano, fanno il loro dovere. Non ha importanza che Google sia la più grande agenzia pubblicitaria del mondo, e Amazon sia ormai in grado di estrarre i dati dei nostri membri allo scopo di trasformarli in futuri clienti. Poiché leggiamo il mondo secondo "funzioni", in termini di minacce e competizione, non affrontiamo i nuovi attori come degli alleati, né lavoriamo efficacemente per insediare i nostri valori all'interno dei loro servizi. Noi invece usiamo le funzionalità che ci sembrano migliori, e ci limitiamo a consumarle, ignari del costo che questo ha per noi e per coloro che serviamo.

Vi prego, non fraintendetemi: anch'io uso Google e Amazon. Anch'io uso Facebook e Twitter. Questi strumenti hanno un grande valore per la nostra professione e i nostri membri. Tuttavia, ognuno di questi può essere migliorato da una collaborazione con le biblioteche. Come noi possiamo imparare molto su nuovi modi di trovare informazione o di confezionare il contenuto, così loro possono imparare dai nostri 3000 anni di rapporti con la comunità e dal nostro sistema di valori. Tuttavia, questo accadrà solamente se siamo aperti a una vera collaborazione, e se veniamo visti come validi alleati. Se invece veniamo visti come isolati e fermi in funzioni del passato, perché mai loro dovrebbero voler collaborare con noi?

Quindi, qual'era quel nostro grande successo che ci si è ritorto contro? È questa cultura partecipativa in cui stiamo vivendo. Tutto intorno a noi la gente si sta organizzando. I cittadini stanno reclamando un posto nelle decisioni delle società come dei governi. Abbiamo già visto, in Tunisia e in Egitto, il potere che acquistano i cittadini quando sono connessi fra loro; l'Italia sta vedendo direttamente gli effetti del potere del networking in Libia. Il movimeno "Occupy Wall Street" che è partito nel mio paese si è ora diffuso nelle strade di Roma. Con i telefoni cellulari e il web, la voce delle persone è ora amplificata, così come il loro desiderio di partecipazione.

Che cosa ha a che fare tutto questo con le biblioteche? Perché dico che ci si è ritorto contro? Perchè le stesse persone che abbiamo cercato di educare e assistere adesso stanno tentando di dire la loro sul modo in cui noi gestiamo i servizi. Negli Stati Uniti e in Scandinavia, i membri delle biblioteche mirano a una partecipazione senza precedenti nel modo in cui gestiamo i servizi. Sarò franco – la reazione di molti bibliotecari mi ha sconcertato. Questo è il mondo che abbiamo chiesto. Questo è il mondo per cui abbiamo lavorato. Perché promuovere la cultura se non accettiamo il contributo a quella cultura? Perché fornire informazioni se non per una partecipazione informata? Perché educare se non per divulgare? Perché quando sposiamo i valori e la virtù del potere, siamo poi sorpresi se il pubblico usa il suo potere per plasmare un destino che è anche nostro? E dal momento che abbiamo concentrato i nostri sforzi sul potere dell'individuo prima che delle istituzioni – lo studioso alla ricerca della verità, lo studente alla ricerca della saggezza, la madre alla ricerca di una vita migliore per i suoi figli – perché siamo sorpresi se queste stesse persone iniziano a mettere in dubbio il bisogno di tutte queste istituzioni, compresa la nostra?

Sì, signore e signori, le biblioteche come le conosciamo noi sono spacciate. Hanno ragione quelli che ci definiscono antiquati e obsoleti. Non c'è alcun modo di mantenere in vita un'istituzione dedicata alle collezioni fisiche, alla catalogazione descrittiva, e una professione dedicata alla manutenzione.

A questo punto vi starete probabilmente chiedendo che razza di professore sono. Perché mi hanno invitato, e perché mi permettono di insegnare ai bibliotecari del futuro? Forse, tuttavia, vi siete accorti dell'uso che faccio dell'espressione "le biblioteche come le conosciamo", e avete visto il titolo di questo intervento. È arrivato il momento di spostare il discorso verso quella che per me è la strada verso una nuova biblioteconomia. E avete ragione, io credo che il futuro delle biblioteche sia senz'altro luminoso, ma è tutt'altro che scontato, e tutt'altro che una strada facile. È una strada che richiede un'azione personale radicale. Sarò anche onesto con voi: è una strada nella quale io ho grande fiducia nella professione dei bibliotecari, ma meno fiducia nelle istituzioni che oggi chiamiamo biblioteche.

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