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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 18:54.
«Nonostante tutto, la crisi e le difficoltà del sistema, l'Italia è ancora, in valore assoluto, la quinta potenza industriale mondiale, con il 3,9% della produzione manifatturiera globale 2009». È uno dei dati sottolineati dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e contenuto nel rapporto sugli scenari industriali curato dal Centro Studi di viale dell'Astronomia. La posizione dell'Italia risulta «ancora più solida (seconda, ndr) se si guarda alla produzione industriale pro capite: in base a questo indicatore, è la seconda nazione più industrializzata del mondo. Un atro dato interessante».
In testa alla classifica, con un notevole vantaggio (oltre il 27% sopra l'Italia) c'è la Germania; il Giappone è terzo e gli Stati Uniti sono distanziati (quasi il 29% sotto l'Italia). Tornando alla classifica generale la prima di gran lunga è la Cina (21,5% dall'8,3% di nove anni prima), secondi gli Stati Uniti (15,1%; nel 2000 erano primi con il 24,8%), terzo il Giappone (8,5%; era secondo con il 15,8%), quarta la Germania (6,5%). Il Belpaese ha aumentato il vantaggio nei confronti di Francia (settima con il 3,6%) e Regno Unito (ormai decimo con il 2,3%), ed è però incalzato da Corea del Sud (3,6%), India (2,9%) e Brasile (2,7%), nazioni in «robusta crescita».
La leader degli industriali ha spiegato che - al contrario di quanto si pensa - sono diversi i settori nei quali l'Italia è forte: «Se nell'immaginario siamo un paese che esporta tessile e moda, le parti in cui siamo più forti sono diverse: le macchine, la metallurgia, gli autoveicoli, la chimica, gli apparecchi elettrici che insieme coprono il 53,4% dell'export. Aggiungendo gomma e plastica e farmaceutica si supera il 60%, mentre il complesso dell'esportazione delle tre filiere tessile-abbigliamento, concia-calzature e legno-arredo ormai supera appena il 15%».
Nel rapporto a cura del Csc si evidenzia inoltre una spinta alla concentrazione «che accentua la tendenza delle imprese a riappropriarsi, almeno in parte, di competenze che prima avevano trasferito all'estero e al contempo le costringe ad aumentare la propria dimensione. Non ci sono ancora statistiche che confermino l'aumento della stazza media delle imprese italiane, ma i dati indicano che dal 1996 si è interrotta la sua diminuzione e nel contempo è iniziata la riduzione del numero delle imprese, con l'espulsione dal mercato di quelle marginali. C'è stata cioè una chiara inversione di marcia rispetto alle dinamiche che avevano prevalso tra il 1971 e il 1991».