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Economia Aziende

A Melfi reintegrati gli operai Fiat

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2010 alle ore 08:05.

I tre operai della Fiat Sata di Melfi, licenziati a metà luglio per un presunto sabotaggio della produzione, sono stati reintegrati dal giudice del lavoro lucano che ha considerato antisindacale il provvedimento del l'azienda. Gli operai erano stati accusati di aver bloccato alcuni carrelli che contenevano componenti, provocando la fermata della catena di montaggio. Al Lingotto hanno preferito non commentare la notizia, limitandosi a spiegare che in Fiat non era ancora arrivato alcun documento in merito e pertanto non era possibile analizzare la decisione del magistrato.

Sul fronte opposto, invece, sindacati e politici non hanno fatto mancare un approfondito giudizio sulla vicenda. Che, secondo Giorgio Cremaschi (Fiom), «dimostra come l'azienda voglia operare contro le leggi ed i contratti». Mentre Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, preferisce ricordare che i licenziamenti «sono arrivati dopo il voto di Pomigliano e le elezioni delle Rsu di Melfi, dove per la prima volta la Fiom è diventata primo sindacato». In ogni caso Landini invita la Fiat ad uscire dalla crisi coinvolgendo tutti i sindacati e tutti i lavoratori. Anche dal Pd arrivano commenti soddisfatti. Paolo Nerozzi, della commissione Lavoro del Senato, ribadisce che i licenziamenti avevano rappresentato «un fatto di gravità eccezionale sul quale chiediamo che il ministro Sacconi venga a riferire in Parlamento». Mentre il governatore della Puglia, Nichi Vendola, sostiene che la decisione del tribunale conferma come i licenziamenti avessero «carattere esclusivamente repressivo ed intimidatorio».

Per Vendola i licenziamenti sarebbero la conseguenza di una precisa strategia anti operaia e antisindacale adottata ovunque dalla Fiat, non solo a Melfi. Per questo «è fondamentale che tutte le opposizioni si mettano al lavoro per concertare insieme una linea politica con la quale contrastare e battere questa inaudita offensiva».

E se Antonio Di Pietro (Idv) plaude alla decisione di una «magistratura autonoma dai poteri forti», anche dall'Unione di centro arrivano apprezzamenti per la sentenza. In particolare Savino Pezzotta sottolinea come i diritti dei lavoratori siano finalmente stati tutelati «e restiamo in attesa di capire quali siano le intenzioni della Fiat».

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«Ogni caso fa storia a sé»

«Commentare la sentenza su di un caso di cui non si conoscono gli atti giudiziari, né l'esito

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Il problema riguarda però le conseguenze della sentenza. Marco Racca, del Centro studi Polaris, teme che il Lingotto ne approfitti «per atteggiarsi a vittima, giustificando in tal modo la delocalizzazione più spinta», mentre Rocco Palombella (Uilm) sostiene che la sentenza rappresenta una magra soddisfazione poiché bisognava evitare di «mettere a ferro e fuoco lo stabilimento», spingendo così il Lingotto a non produrre la monovolume prevista inizialmente proprio a Melfi.

E Giuseppe Farina (Fim) afferma che «l'estremismo della Fiat è una reazione all'estremismo di quel sindacato che ha voluto politicizzare il confronto sul progetto industriale del Lingotto». Farina ritiene che sia arrivato il momento di investire sui rapporti sindacali e sulla partecipazione. Anche Vito de Filippo, presidente della Basilicata, invita a riprendere il dialogo tra le parti. De Filippo, dopo aver espresso soddisfazione personale perché nessuno ha perso il lavoro, aggiunge che ora sindacati e azienda possono tornare a discutere. Una posizione analoga a quella di Cesare Damiano, capogruppo del Pd in Commissione lavoro. A suo avviso, infatti, dalla sentenza deve originare «un clima di rapporti inprontati al confronto e non allo scontro». Con la speranza che anche per gli altri lavoratori licenziati dalla Fiat si possano riaprire le possibilità di un ritorno al lavoro. Secondo Damiano, infatti, la competitività aziendale non può essere raggiunta in un clima di scontro continuo.

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