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Economia Lavoro

Sacconi: «Serve un governo coeso per la ripresa». Domani rientrano in fabbrica 4,5 milioni di lavoratori

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2010 alle ore 14:25.

L'autunno incombe, e con esso le incognite della ripresa e dell'occupazione, proprio alla vigilia del rientro degli italiani dalle ferie e di 4,5 milioni nelle fabbriche. La prima domanda al ministro del Welfare, Maurizio Sacconi è d'obbligo e riguarda la crisi politica apertasi nella maggioranza, proprio in un momento in cui sembrano consolidarsi i segnali di ripresa, con i tempi dell'economia e dell'occupazione che rischiano di entrare in seria rotta di collisione con quelli della politica.

La confusione nella maggioranza è parsa spesso scollegata dai problemi reali del paese, a partire dalla crescita. Politica e governo sono in grado di sostenere la ripresa?
La constatazione di partenza è che l'Italia, per realizzare i cambiamenti necessari alla crescita ha bisogno di un governo coeso perchè sui profili più dirimenti della crescita stessa la politica ha delle divisioni nette. l'Italia non è fatta per governi di responsabilità nazionale o «grosse koalition». Non se li può permettere. Sarebbero la paralisi su tutto quello che occorre fare. Come diceva Tony Blair alla sua sinistra, dobbiamo pentirci solo di non essere andati più avanti lungo le strade che abbiamo intrapreso, non certo della direzione di marcia. E su questa direzione di marcia l'opposizione di radice comunista o populista si è contrapposta radicalmente.

Nessun dialogo possibile dunque?
Il mio non è un ragionamento ideologico ma fondato sull'esperienza vissuta. Partiamo dai fatti. Parliamo dei cambiamenti necessari. Il federalismo e il nuovo modello sociale disegnato dal libro bianco hanno costituito la visione entro la quale si è collocata la rigorosa disciplina di bilancio che ha reso sostenibile il nostro debito pubblico. Si tratta dei due presupposti fondamentali, sia finanziario che culturale, della stessa riforma fiscale. È la combinazione della sussidiarietà verticale con quella orizzontale. La riforma fiscale infatti presuppone le economie del federalismo fiscale che possono essere ottenute sulla base dei costi standard, come nel caso del servizio sanitario nazionale ove i sistemi che costano molto danno di meno mentre nelle aree in cui si spende meno si dà di più.

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Quale il raggio di possibile convergenza, sia nella maggioranza che nel rapporto con le opposizioni, su questo punto che lei definisce dirimente?
Sulla combinazione della sussidiarietà orizzontale e verticale c'è una evidente contrapposizione con la cultura neostatalista che Nichi Vendola disegna in modo sincero. Il vecchio mondo Pci-Pds-Ds, che è tanta parte del Pd, è inesorabilmente, salvo poche eccezioni individuali, ancorato a un'idea statalista, diversa dalla visione «meno Stato, più società». Ovunque in Europa ci si pone il problema di ridisegnare il perimetro pubblico, sia in termini di maggiore prossimità agli amministrati, sia in termini di maggiore attivazione della società civile. Ciò è tanto più possibile in un paese come il nostro che vanta una grande tradizione di forme di autogoverno della società, di auto-organizzazione delle persone e delle famiglie, delle associazioni di volontariato, delle parti sociali. Da noi ci si può appellare all'esperienza della tradizione per affermare il nuovo modello «meno Stato, più società».

Detta così sembra una rivoluzione culturale.
Alla base della visione del meno stato, più società c'è il superamento dello stato disegnato da Hobbes: è importante che la cultura di governo parta dalla fiducia nei confronti della persona e della sua propensione a potenziare l'autonomia dell'altro, e non il contrario. Punto culturale profondo, molto dirimente: noi partiamo dalla cultura «io mi fido, fino a prova contraria», fondamentale per la crescita e per il futuro civile del Paese. Ne sono conseguenza i controlli ex post rispetto a quelli ex ante.

Da questo punto di vista, vede possibili convergenze con i cattolici dell'Udc e del Pd?
Questa visione va oltre i confini della maggioranza. Il mondo cattolico anche di opposizione la può accettare e capire, non il mondo di radice comunista. Potremmo dire la stessa cosa per un altro aspetto fondamentale per la crescita, che è quello delle nuove relazioni industriali e del nuovo diritto del lavoro. Per fare sintesi, Pomigliano è un benchmark inesorabile. È un evidente caso di meno Stato. La Fiat non chiede incentivi pubblici, ma più società, nel senso che chiede alla comunità di lavoratori di Pomigliano di rappresentare, con la maggiore produttività, l'incentivo a che si produca un grande investimento. Le nuove relazioni industriali significano soprattutto devoluzione alla fabbrica, al territorio, baricentro del dialogo sociale, così come il nuovo diritto del lavoro è un corpo centrale di norme solo in parte inderogabili perchè riferite ai diritti fondamentali, ma per altra parte adattabili dalle parti sociali alle aziende e ai territori. Anche in questo caso, le posizioni le abbiamo viste. Hanno detto di sì tutte le parti sociali, tranne la Cgil, sulla quale regolarmente si tara l'opposizione di origine comunista, mentre la Cisl influenza le posizioni cattoliche. Potremmo andare avanti. Lo stesso tema degli investimenti energetici divide. Se pronuncio il termine nucleare è dirimente rispetto a un mondo che non riesce ad accettare questa soluzione.

E il Mezzogiorno?
Vale quanto detto per il federalismo fiscale, che rappresenta a mio avviso una meravigliosa occasione per le genti del sud di avere finalmente amministratori che sappiano far di conto. C'è una cultura che trova di nuovo in Vendola la sua massima espressione che rifiuta l'idea che si debba far di conto secondo gli stessi criteri delle regioni più efficienti. E ancora sui fondi Fas. La nostra opzione è per il superamento di progetti minuti infraregionali, per concentrarsi su grandi investimenti sovraregionali. Sud evoca poi Pomigliano, la capacità di derogare al tradizionale contratto nazionale, di fare accordi adattati alle singole realtà.

C'è dell'altro?
Lo stesso nodo della giustizia è aspetto non secondario per la crescita e l'attrazione di nuovi investimenti: la giustizia civile, del lavoro, amministrativa, contabile e penale nel nostro Paese è fonte di straordinarie incertezze che sono il peggior nemico dell'investimento. Sappiamo come la giustizia opponga in modo netto i due schieramenti, con l'opposizione che appare prevalentemente indisponibile a discutere perché subalterna alla magistratura politicizzata. Anche se in ogni voto segreto su questo tema la maggioranza si allarga.

Per non parlare allora dei temi etici che lei ha recentemente rilanciato a livello di dibattito politico.
È vero. Con i colleghi Fazio e Roccella ho presentato l'agenda biopolitica del governo segnalando che le istituzioni saranno comunque costrette a prendere posizione su molti temi connessi con il valore della vita. Peraltro c'è una stretta correlazione tra la cultura della vita e il vitalismo economico e sociale. Quando viene meno la cultura della vita prevale il nichilismo e con esso il declino dell'economia e della società. Per fortuna anche su questi temi ci sono due opposizioni. L'una ferocemente ostile, l'altra convergente con le tesi del governo.

Lei ha descritto finora i rapporti con le opposizioni. Ma il vero problema ora è nella maggioranza, nei rapporti con i finiani.
Se, come mi auguro, in questa seconda parte della legislatura ci si confronta in Parlamento senza pregiudizio sulle cose da fare, una maggioranza c'è ed è anche come abbiamo visto potenzialmente più larga. Certo, se non ci fosse occorrerebbe rapidamente ritornare agli elettori per verificare se sui temi dirimenti per lo sviluppo economico e civile preferiscono Berlusconi, e con lui la strada avviata già, o ipotesi alternative come Vendola con la sua sistematica negazione di quelle soluzioni.

Qual è la sua replica al Pd che dice nei punti programmatici emersi nel vertice di venerdì non vi è alcun accenno al lavoro?
Ma stiamo scherzando? Non c'è un piano triennale appena approvato dal consiglio dei ministri? Non c'è una proposta di statuto dei lavori? Con la componente prevalente del Pd, tutta schiacciata sulla Cgil, non c'è accordo su nulla. Per fortuna noi siamo d'accordo con tutte le altre parti sociali.

Abbiamo calcolato che in 4,5 milioni si apprestino a rientrare nelle fabbriche. Con quali orizzonti, prospettive concrete sugli aspetti decisivi della crescita, dell'occupazione?
Vedo in Europa un punto di forza che si chiama industria. Questo spiega la buona reazione della Germania e dell'Italia settentrionale alla ripresa del commercio internazionale. Buona parte di questa industria è inserita in filiere internazionalizzate, è quindi in grado di raggiungere i consumatori emergenti. Se continueremo lungo il percorso di ammodernamento delle relazioni industriali e del diritto del lavoro, credo che consentiremo ancora di più gli aggiustamenti necessari per competere. Certo, il nostro problema resta il Mezzogiorno, a differenza della Germania che è riuscita a integrare la parte più debole. Ciò significa anche per il Mezzogiorno più industria, e così torniamo a Pomigliano. Non sottovalutiamo poi la valenza del turismo nel nostro Paese, perché questi consumatori vanno raggiunti là dove vivono, ma anche attratti qui. E anche nel turismo serve l'ulteriore ammodernamento delle regole del lavoro, attraverso una flessibilità gestita in sussidiarietà dalle parti sociali nei territori. Non dimentichiamo poi che noi abbiamo un grande disallineamento tra competenze richieste dall'impresa e competenze offerte dal mercato del lavoro. Questo significa sapere investire nella buona formazione: è la sfida che avremo già a settembre.

Alla ripresa l'attendono 180 tavoli aperti al ministero dello Sviluppo economico tra cui 80 crisi aziendali gravi.
Si tratta di tavoli con i quali lavoriamo quotidianamente. Abbiamo conseguito soluzioni recenti per Glaxo, Telecom e molte altre aziende. Viviamo una stagione di grandi trasformazioni nella quale lavoriamo per evitare che si disperdano capacità produttive e posti di lavoro.

Può fornirci dai aggiornati sul cosiddetto "tiraggio" della cassa integrazione, indicatore di una certa importanza per saggiare il polso sul fronte dell'occupazione?
I dati sono quelli dell'Inps. C'è un tiraggio molto basso rispetto alle quantità richieste. Le risorse sono più che disponibili.

Torna la «gobba» per le pensioni?
Nessuna gobba. Abbiamo annullato le variabili legate all'invecchiamento della popolazione, abbiamo stabilizzato il sistema rispetto a questa determinante. Poi certo il Pil è l'altra importante determinante che va misurata nel medio-lungo periodo, non in due anni di crisi.

Il Tesoro ha certificato l'aumento del 18,7%, dal 2008 al 2009, della spesa per le pensioni di invalidità. Come commenta il dato?
È la ragione del programma straordinario in corso di esecuzione per responsabilizzare le regioni e ripulire molti probabili abusi.

A che punto è il piano di contrasto al sommerso?
Nel piano triennale c'è un punto fondamentale in cui si dice liberare il lavoro dall'illegalità. Con la direttiva agli ispettori, con la campagna straordinaria nel Mezzogiorno sull'agricoltura e sull'edilizia e infine con i nuovi protocolli con l'Agenzia delle Entrate, con la Gdf e con l'arma dei carabinieri, abbiamo avviato una politica di autentica tolleranza zero verso il sommerso totale e le violazioni più gravi dei diritti nel lavoro.

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