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Marchionne: «A Melfi illeciti inammissibili. Pronto a incontrare Epifani». Il giudice convoca le parti

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 12:25.

A Melfi la Fiat ha rispettato la legge, dando «pieno seguito alla prima pronuncia della magistratura». A parlare, dal palco di Rimini, al meeting di Comunione e Liberazione, è l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, che ha evidenziato come «dignità e diritti non possano essere un patrimonio esclusivo di tre persone: sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti». Il manager ha poi parlato di Alfa e conti, assicurando che la casa del Biscione non sarà venduta e si prospetta un rialzo dei target.

L'amministratore delegato di Fiat ha dichiarato di avere «grandissimo rispetto per il
presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, come persona e per il suo ruolo
istituzionale». E «per la sua posizione istituzionale», ha aggiunto, «accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione» alla vicenda di Melfi.

Marchionne (leggi il discorso integrale) ha comunque definito «innammissibili» gli illeciti e i comportamenti commessi a Melfi, «che sono arrivati anche al sabotaggio», e si è poi augurato che «il secondo grado di giudizio sia meno condizionato» del primo e riconosca le ragioni di Fiat. «Non mi aspettavo certo segnali di distensione», ha commentato Marco Pignatelli, uno dei tre operai di Melfi reintegrati dal giudice. «Marchionne - ha detto - vuol portare avanti il suo disegno di fabbrica, ma non è giusto che si metta in dubbio lo statuto dei lavoratori».

Per Marchionne, ascoltato in diretta anche dai tre lavoratori di Melfi, «è finito il tempo in cui le relazioni industriali si debbano basare sul conflitto tra operai e padroni». Serve andare avanti, ha detto, e costruire nuovi modelli di relazioni industriali. Del resto, ha aggiunto, «fino a quando non ci lasciamo alle spalle vecchi schemi non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti».

Marchionne, applaudito più volte dalla platea riminese, ha sottolineato che l'unica cosa che interessa a Fiat è «la garanzia di poter gestire i nostri stabilimenti in maniera affidabile e normale». Credo, ha aggiunto, che ogni imprenditore «se non stima, meriti almeno rispetto».

Il manager del Lingotto ha poi parlato delle difficoltà di investire nel Belpaese: «la sola area del mondo dove il gruppo torinese è in perdita». La Fiat, ha ricordato Marchionne, «é l'unica azienda disposta a investire 20 miliardi di euro in Italia, ma questo sforzo viene visto da alcuni con la lente deformata del conflitto». Di qui, l'invito a fare «un grande sforzo collettivo, un patto sociale che condivida impegni, sacrifici e dia al Paese la possibilità di andare avanti». Perché, ha sottolineato davanti ai tanti giovani presenti in platea, forse «in Italia ci manca la voglia e abbiamo paura di cambiare».

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Tags Correlati: CGIL | Chrysler | Cisl | Comunione e Liberazione | Emilio Minio | Fiat | Giorgio Napolitano | Giustizia | Guglielmo Epifani | Luigi Angeletti | Marco Pignatelli | Melfi | Potenza | Raffaele Bonanni | Rimini | Sergio Marchionne | Uil

 

Marchionne ha ringraziato apertamentamente i leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, per la collaborazione dimostrata nel processo di rilancio della Fiat, e si è detto disponibile a incontrare il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. E ha ricordato numeri e obiettivi del Lingotto. La Fiat, ha detto, è presente in tutti i continenti e ha rapporti commerciali con oltre 190 Paesi. Fiore all'occhiello, il recente accordo con Chrysler, con la quale, ha concluso, «ci siamo posti il traguardo di produrre 6 milioni di auto nei prossimi cinque anni».

Nel primo pomeriggio, dopo l'intervento di Marchionne a Rimini, Emilio Minio, il giudice del lavoro di Melfi (Potenza) che il 9 agosto scorso ha depositato il provvedimento di reintegro in fabbrica dei tre lavoratori licenziati dalla Fiat, ha convocato le parti (azienda e Fiom) per il 21 settembre. La convocazione servirà a chiarire gli aspetti procedurali del decreto del giudice, che dichiarò «l'antisindacalità dei licenziamenti» dei tre operai e ordinò «la immediata reintegra dei lavoratori nel proprio posto di lavoro».

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