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Economia Aziende

Cesare Damiano: «Dico sì al patto di Marchionne. È l'ora del dialogo»

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2010 alle ore 08:03.

Per rispondere alla sfida della competitività bisogna «uscire dal vicolo cieco della contrapposizione», sono necessari «atti distensivi da parte della Fiat e della Fiom». Cesare Damiano (Pd) che da ministro nel 2008 è stato l'artefice della mediazione che portò alla firma unitaria del contratto dei metalmeccanici, fa appello alle parti sociali affinché «prevalga in tutti l'attitudine al confronto e al dialogo».

A quali gesti distensivi si riferisce?
La Fiat dovrebbe reintegrare effettivamente i tre operai licenziati come atto di disponibilità e aprire il tavolo di confronto senza commettere l'errore di escludere chi non ha firmato accordi. Non è mai accaduto finora né al tavolo con Federmeccanica né con Fiat, si finirebbe per dare spazio ai falchi. Ma anche la Fiom deve mandare segnali distensivi.

La Fiom, secondo gli altri sindacati, si è autoesclusa dal tavolo non riconoscendo l'esito del referendum di Pomigliano che ha approvato con un'ampia maggioranza l'intesa.
È vero, a Pomigliano si è espressa la maggioranza dei lavoratori e tutti devono tenere conto del risultato. Gli accordi si possono anche sottoscrivere con un atto di condivisione critica, come si è fatto in passato. Del resto anche dentro la Fiom la minoranza che fa capo a Fausto Durante ha auspicato la fine del muro contro muro.

Per Marchionne serve un nuovo patto tra le parti sociali per rispondere alla sfida della competizione globale, è d'accordo?
La sfida della competitività va accettata con alcuni suggerimenti. Un patto sociale presuppone un intervento propositivo del governo, come è accaduto nel 1993 o nel 2007 negli accordi sulla concertazione. Il governo deve avere un ruolo, non può fare da arbitro sugli spalti. Per il settore auto altri paesi, penso agli Usa, hanno messo in campo risorse per gli investimenti. In Italia il governo ha decretato la fine degli incentivi senza dirottare risorse alla ricerca e all'innovazione.

Come giudica uno dei caposaldi di questo patto, la collaborazione tra capitale e lavoro?
La competitività globale spinge a individuare nuove ragioni di scambio tra impresa e lavoro. Bisogna coinvolgere i lavoratori nelle scelte strategiche rafforzando il ruolo dei comitati aziendali europei, gli organismi di consultazione nelle imprese multinazionali. Bisogna adottare modelli di partecipazione come i comitati di sorveglianza, sull'esempio tedesco. Quando si chiedono più turni, più competitività, una migliore organizzazione del lavoro bisogna anche dare garanzie sugli investimenti duraturi, sulla non delocalizzazione degli impianti e sulla salvaguardia dell'occupazione.

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In vista del tavolo del 15 settembre, condivide la necessità delle deroghe al contratto nazionale per rispondere alle richieste di Fiat?
Non è auspicabile, sarebbe un errore che si aggiungerebbe ad altri errori aumentando la tensione e lo scontro, mentre c'è bisogno di andare esattamente nella direzione opposta.

Ma alla Fiat serve un impianto normativo che garantisca l'esigibilità dell'intesa di Pomigliano e con essa, l'investimento.
Ritengo invece che confermando il contratto dei metalmeccanici si possano individuare al suo interno specifiche normative che riguardano il settore dell'auto, sulla turnistica, gli straordinari e l'organizzazione del lavoro. L'obiettivo è quello di assicurare condizioni di competitività rispondendo alla richiesta di Marchionne, analogamente a quanto si è fatto per altri settori come la siderurgia.

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