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Economia Politica economica

Bertinotti contro tutti: il rigore dell'Europa è cieco, il vero problema è la disoccupazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2010 alle ore 15:38.

CERNOBBIO - «Sostenere che la politica di Obama e della Federal Reserve è una politica espansiva è una tesi, non una realtà. Direi che non è così regressiva come quella europea: sembra espansiva solo quando messa a confronto con lo stato comatoso delle politiche europe che sono assolutamente deflattive. E non sono solo io a dirlo ma economisti importanti come Paul Krugman e Guido Rossi, che esortano i governi a politiche più coraggiose, a non lasciarsi impaurire dal debito pubblico. L'Europa persegue una linea del rigore cieco in una situazione in cui il problema numero uno dovrebbe essere la disoccupazione».

Prende le distanze da tutti, dall'Europa e dagli Stati Uniti, l'ex-leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti (che, a sorpresa, darà vita a un confronto pubblico con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti), entrando nel dibattito tra politiche fiscali-monetarie espansive e politica economica dell'austerity e del rigore mirata innanzitutto a risanare i conti pubblici con il contenimento del deficit e del debito pubblico.

Bertinotti, intervistato ai margini del Workshop The European House-Ambrosetti a Cernobbio, è preoccupato per le prospettive future dell'occupazione. «Qui a Cernobio tutti gli economisti stanno tracciando un quadro drammatico della crisi dell'economia occidentale», sostiene scuotendo la testa. «Il punto più drammatico in Europa è la lotta alla disoccupazione: servono politiche che riducono il danno della mancanza di posti i lavoro e invece ci vengono riproposte le stesse soluzioni di prima dalla stessa classe politica». Bertinotti si riferisce ai criteri di Maastricht, che hanno fallito perché ideati in un contesto di crescita: adesso dopo la recessione e con una ripresa fragile vengono riproposti e addirittura rafforzati. «La politica del rigore, anche quella adottata da Giulio Tremonti come prima quella di Tommaso-Padoa Schioppa, non hanno dato nessuna risposta per la crescita e non sono in grado di affrontare la crisi del nostro modello economico sociale». A conferma di questo, Bertinotti obietta: «Oscilliamo tra una ripresa senza occupazione e il ritorno della crisi o il rischio di una nuova recessione».

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Il rigore, è la tesi prevalente in questo momento in Europa, è stato imposto dalla crisi del debito sovrano europeo, dai mercati che hanno fatto scattare l'allarme sull'insostenibilità dei conti pubblici, sul rischio di default senza precedenti di uno stato occidentale con economia avanzata. Ma questa chiave di lettura non piace a Bertinotti. «L'Europa di fronte alla crisi della Grecia ha prodotto politiche di rigore a livello europeo e nazionale, subendo il ricatto della svalutazione, sotto schiaffo dei mercati e degli speculatori, ponendo l'accento sulla riduzione del debito – sostiene mostrando una palese insofferenza -. Ci è stato detto che il rigore è una necessità, una strada obbligata dai mercati: una politica che ha una natura oligarchica, che accetta la primazia del mercato. Che crea il massacro sociale, che è mercantista».

Il fatto che in Europa si stia procedendo a passo spedito verso il bilancio europeo, la politica economica unica europea per Bertinotti non è un bene: «Questo modo di fare politica non ha un carattere democratico, non riconosce la sovranità degli stati, non lascia scelta ai governi nazionali. Allora tanto vale sciogliere i Parlamenti». Avverte: «Dietro questo apparente stato di necessità c'è invece la volontà di intervenire a tenaglia sul livello macro-economico e micro-economico, da un lato le misure di bilancio imposte sugli stati nazionali e poi le incursioni sul mercato del lavoro, come quelle della Fiat, con un modello di organizzazione d'impresa senza sindacato». E precisa, come proposta: «Io sono contrario alla politica assistenzialista e clientelare, sono favorevole alle politiche industriali di riconversione, alle politiche di investimento, alle politiche industriali a favore della ricerca, delle infrastrutture, dell'ambiente. E invece questa politica del rigore è distruttiva: produce la crisi della coesione sociale».

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