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Economia Aziende

Fini contro Marchionne. Per la Cisl e la Uil con i turni alla tedesca 4mila euro in più all'operaio Fiat

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2010 alle ore 08:23.

Marchionne divide la politica (di Paolo Bricco)
Laboratorio Volkswagen, all'operaio 2.800 euro lordi (di Attilio Geroni)
Dai nuovi turni 4 mila euro in più

«Quest'anno prevediamo di fare oltre 2 miliardi di utile operativo. Nemmeno un euro è fatto in Italia. Se dovessi togliere la parte italiana, la Fiat farebbe meglio». Così Sergio Marchionne domenica sera, in televisione da Fabio Fazio. Ma quanto guadagna davvero la Fiat in Italia? Quanto deriva da una bassa produttività del lavoro, e quanto da altri fattori? Il calcolo non è facile. Le aziende globalizzate che hanno un sistema integrato di produzione e vendita, come Fiat Auto, calcolano comunemente il margine industriale di prodotto o il margine commerciale per paese; meno facile è calcolare una profittabilità di paese.

Nel settore auto ciascuna azienda calcola i conti per i singoli marchi (ma tra i concorrenti di Fiat, solo Volkswagen li pubblica). In Italia la Fiat ha attività che guadagnano bene. Come Ferrari (non compresa nel perimetro di Fiat Auto); o i veicoli commerciali leggeri (Doblò, Ducato, eccetera).

E il resto? Qualche analista finanziario ha provato a scomporre i risultati di Fiat Auto. Fiat do Brasil è per esempio un'entità a sé stante con un efficientissimo stabilimento, e guadagna molto: la stima per quest'anno è fino a 1 miliardo di euro. Un analista fa il seguente calcolo, riferito all'anno 2008. Si parte da 691 milioni di utile operativo dell'auto; le attività in Sudamerica hanno guadagnato 1,05 miliardi; aggiungendo al dato di partenza poco meno di 200 milioni guadagnati in Polonia e qualche decina di milioni con i veicoli commerciali, e sottraendo il tutto a 691 milioni, si arriva a un rosso operativo delle attività residue – essenzialmente quelle italiane – di poco più di 500 milioni di euro.

Uno dei fattori che influiscono su guadagni e perdite è la produttività delle fabbriche. I cinque stabilimenti che producono auto nel nostro Paese (di cui Termini Imerese destinato alla chiusura tra poco più di un anno) hanno sfornato nel 2009 circa 650mila autovetture; nel 2007, l'anno prima dell'inizio della crisi, erano state circa 900mila. L'utilizzo della capacità produttiva è dunque crollato verticalmente per la crisi. Lo stesso è successo però anche a molti dei concorrenti. Le condizioni altamente concorrenziali del mercato europeo fanno sì che siano in pochi a guadagnare: Toyota ha perso in Europa circa 1 miliardo di euro nel 2008/09, 250 milioni nel 2009/10.

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Laboratorio Vw, all'operaio 2.800 euro lordi

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Dai nuovi turni 4mila euro in più

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Tags Correlati: America del Sud | Betim | Cisl | Citroën | Fabio Fazio | Fiat | Gianfranco Fini | Ihs Global Insight | Imprese | Marco Santino | Melfi | Mirafiori | Peugeot | Polonia | Renault | Sergio Marchionne | Stefano Aversa | Tychy | Uil | Volkswagen | World Economic Forum

 

Come indica la tabella, la produttività di Melfi nel 2009 era comparabile ai più efficienti impianti "nazionali" delle rivali francesi Peugeot e Renault (Volkswagen non fornisce questi dati). Pomigliano è in fondo alla classifica per un paio di circostanze – fine serie della 147 e forte calo di vendite per la 159: l'arrivo Panda con i volumi previsti dal piano Fabbrica Italia (270mila unità) la porterebbe ai livelli di Melfi, se non oltre. Cassino (che nel 2010 ha ripreso fiato con l'arrivo della Giulietta) e Mirafiori sono a livelli comparabili con gli impianti "medi" di Peugeot o Renault. Tychy in Polonia e Betim in Brasile sono ai vertici delle classifiche. A maggiore produttività non sempre corrispondono minori costi: la fabbrica rumena della Dacia, per esempio, ha un output per addetto relativamente basso perché prevede un maggiore utilizzo di manodopera a basso costo.

La bassa produttività di alcune fabbriche deriva anche dal calo delle vendite, legato in generale alla crisi del mercato europeo dal 2007 e per Fiat anche alla perdita di quote nei segmenti medio-alti (C e D, quelli dalla Bravo in su) mentre le vetture piccole di maggior successo - Panda e 500 - sono fabbricate in Polonia. Ancor più rilevante della produttività per addetto è il grado di utilizzo della capacità produttiva – rapporto fra capacità e auto effettivamente prodotte. Un recente rapporto di Ihs Global Insight attribuisce a Renault il peggior tasso di utilizzo in Europa al 62,8% medio, seguita da Fiat al 64,8% e da Psa (Peugeot-Citroen) al 67,4 per cento.

Dalla produttività in calo al rosso nei conti c'è ancora un po' di strada. La fabbrica che produce poche auto per addetto non è necessariamente la meno redditizia: se l'impianto è già ammortizzato, per esempio, pesa relativamente poco; la cassa integrazione aiuta ad alleviare i costi nel caso in cui la produzione scenda, come è successo negli ultimi due anni, sotto il livello di guardia. È per questo che, nonostante il problema della scarsa produttività e dell'obsolescenza degli impianti italiani sia di vecchia data, lo stesso Marchionne nei primi anni della sua gestione proclamò più volte: «Non chiuderò impianti in Italia».

Sulla redditività pesano anche fattori come la flessibilità del lavoro o le relazioni sindacali: è proprio a questi che Marchionne si riferiva quando domenica sera ha citato i numeri del World Economic Forum che colloca l'Italia al 113° posto per l'efficienza del mercato del lavoro. Quanto potrebbe guadagnare Fiat in termini economici da un accordo con i sindacati sulle condizioni di flessibilità e di governabilità degli impianti?

Secondo Stefano Aversa, president di AlixPartners, «le concessioni richieste da Marchionne sono del tutto ragionevoli e sono già state ottenute da altre aziende industriali italiane; il loro impatto peraltro non sarebbe tale da cambiare in misura decisiva la posizione competitiva di Fiat Auto; altri fattori quali il costo dell'energia o la saturazione degli impianti hanno un impatto maggiore sulla efficienza industriale degli stabilimenti italiani». Gli fa eco Marco Santino, di A.T.Kearney: «In termini puramente finanziari l'impatto diretto sui margini di Fiat Auto di un accordo con i sindacati sulle nuove condizioni di gestione delle fabbriche non basterebbe a ribaltare le perdite del business auto in Italia, ma chiaramente diverrebbe un fattore abilitante per attrarre volumi, con un effetto domino su tutto il settore industriale italiano».

Proprio sui volumi punta il piano Fabbrica Italia, che punta ad aumentare la produzione di auto da 650mila a 1,4 milioni. La scommessa fondamentale è che la Fiat, queste 750mila unità in più, sia in grado di venderle.

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