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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 16:31.
Inutilizzati più della metà dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Esattamente il 52,6% e questo avviene anche «a causa della lentezza delle procedure»: «in media» ci vogliono infatti «dai 7 ai 10 anni», per giungere alla confisca definitiva e poi finalmente all'utilizzo del bene. A fare il punto della situazione la relazione della Corte dei conti che ha chiuso così l'indagine di controllo sulla «Gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata».
La criminalità organizzata, segnala la relazione della Corte dei conti, investe soprattutto in attività economiche che vanno da quelle edilizie a quelle immobiliari, dalle commerciali alla grande distribuzione. Il più aggredito, spiegano i giudici contabili, è il settore edilizio «perché permette di investire e riciclare somme ingenti con una certa facilità»: in pratica si abbatte il costo del personale, ricorrendo a caporalato e lavoro nero. In particolare la criminalità agisce alterando le normali dinamiche competitive «indirizzando in maniera forzosa le scelte dei committenti».
Le tecniche di occultamento dei beni sono sempre più raffinate: vengono create reti fittissime di prestanone, si investono proventi illeciti in noti franchising, rendendo le somme di denaro "sporco" difficilmente rintracciabili. Sul fronte i proventi derivanti dalla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, che per legge sono versati per il 10% in entrata al bilancio dello Stato (nel capitolo 2440), la Corte rileva che l'ammontare complessivo delle somme utilizzate per il finanziamento agli enti locali nei cui confronti è stato disposto lo scioglimento anticipato dei Consigli comunali e provinciali, a causa di infiltrazioni di tipo mafioso per l'anno 2008 è pari a 1.278.372,80 euro, mentre per l'anno 2009 scende a 773.262 euro. In calo anche il capitolo di entrata 3319 (proventi derivanti dai beni confiscati al netto del 10% da destinare alla copertura degli oneri) è sceso dai 5.258.950,22 euro del 2008 ai 4.582.859,82 euro del 2009.
L'indagine ha anche «messo in luce la necessità improcrastinabile che il ministero per i Beni e le Attività culturali si doti di un archivio informatico nazionale, dove raccogliere i dati dei beni storico-artistici dei quali si perdono le tracce tra i vari musei, sovrintendenze e gallerie d'arte».