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Economia Lavoro

Il lungo inverno della disoccupazione. Nei prossimi 12 mesi i livelli più alti, poi discesa dal 2012

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2010 alle ore 08:11.

Un «job gap» che fatica a chiudersi: posti di lavoro cancellati dalla crisi che i timidi segnali di ripresa del Pil non riescono a ricostruire. Anche nel 2011 il termometro sarà freddo per il mercato del lavoro italiano. Studiosi e analisti concordando sulle previsioni per il futuro immediato: la risalita dell'economia è ancora troppo debole e non riesce a rivitalizzare l'occupazione.

Vademecum per le imprese e i lavoratori

Secondo le ultime rilevazioni del Centro studi di Confindustria nel 2011 l'occupazione rimarrà pressoché immobile (+0,1%), dopo il forte calo registrato nel 2010 (-1,7%, dopo il -2,6% del 2009) e riprenderà a salire solo nel 2012 (+0,9%). Il tasso di disoccupazione invece continuerà ad aumentare tra il plotone sempre più consistente di chi cerca un impiego: solo dopo aver toccato l'apice (9%) nel quarto trimestre, inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012.

Il nostro paese, in base alle proiezioni di CsC, recupererà il livello di attività pre-recessione solo nel secondo trimestre del 2015, «ma ciò non basterà a tornare sul sentiero di crescita pre-crisi».

Così, se da inizio 2010 si sono sgretolati 600mila posti di lavoro che in assenza di recessione sarebbero stati disponibili, per l'anno prossimo il job gap sarà di 440mila unità. «Oltre che dalla crescita anemica del Pil - commenta Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi - il riassorbimento della forza lavoro è indebolito da un sistema di ammortizzatori sociali estremamente dilatato che prolunga la durata del paracadute pubblico anche in situazioni in cui si potrebbe tornare alle normali condizioni di attività». Nei prossimi trimestri, secondo il Centro studi di Confindustria, il ricorso alla Cig rimarrà alto nel 2011 e interesserà 315mila lavoratori. «È fondamentale - commenta Boeri - riformare gli ammortizzatori sociali per evitare ogni forma di utilizzo improprio».

Riforme in tempo di tagli ai bilanci? «È possibile - risponde il giuslavorista Michel Martone -, ma bisogna trovare un punto di equilibrio tra rigore dei conti pubblici e consenso sociale». Di fronte ai drammatici livelli di disoccupazione giovanile (si veda l'articolo in basso a destra) «è necessario incentivare fiscalmente le imprese avviate dai giovani, tagliare il più possibile la burocrazia e proseguire sulla strada della detassazione dei premi di produttività». Senza trascurare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro che induce molti giovani a scegliere percorsi di studio sbagliati dopo la scuola dell'obbligo.

L’articolo continua sotto

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«L'orientamento - aggiunge Martone - deve portare anche alla riscoperta dei lavori manuali, in primis nel campo dell'artigianato, dove ci sono opportunità concrete di trovare un impiego».

C'è chi propone di potenziare le aree a cosiddetto "doppio dividendo", il cui sviluppo produce effetti positivi sia a livello sociale sia sull'occupazione. «La green economy - sottolinea Maria Cecilia Guerra, docente di scienze delle finanze all'Università di Modena e Reggio Emilia - ha potenzialità ancora poco sviluppate nel nostro paese, così come nel campo del welfare c'è una domanda di assistenza sociale insoddisfatta che andrebbe sostenuta». Azioni da realizzare in un'ottica di lungo periodo? «Bonus e incentivi fiscali spot - spiega Guerra - sono soluzioni tampone: tra gli interventi più urgenti c'è una riforma fiscale strutturale che sposti il baricentro del prelievo dal lavoro al patrimonio, in modo da abbassare il costo del lavoro e realizzare una redistribuzione della ricchezza più equilibrata».

E per preservare il valore del capitale umano «bisognerebbe investire di più in formazione - conclude Luciano Gallino, professore emerito di sociologia all'Università di Torino -, non solo iniziale ma anche training on the job». Interventi sempre più difficili da realizzare, secondo Gallino, in uno scenario in cui la maggior parte delle nuove assunzioni è a tempo determinato: «Contratti brevi spesso sono sinonimo di scarsa formazione in azienda, con conseguenze negative sulla produttività».

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