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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 18:29.
7.Barot luridi vermi
Napoli piciu
da Fiat autunno '80, per non dimenticare, di Piero Perotti, Centro di ricerca e inziativa comunista, 1987
Barot nel lessico della Fabbrica sono gli operai di natali piemontesi, Napoli quelli arrivati dal Sud. Una dialettica difficile, e come tra coloni ebrei e palestinesi giocata sul filo della demografia. A Mirafiori gli operai sono 16 mila nel '53, nel '67 sono 46 mila. Arrivano dal Sud, hanno poca o nessuna cultura politica, sono giovani e arrabbiati, inondano l'hinterland di dialetti e lo gonfiano di case, che diventano coree, quartieri ghetto. Luigi Arisio, uno dei capi della marcia dell'80, poi passato in parlamento tra i Repubblicani, parla dell'ondata migratoria come di una "infezione", che sostuisce "il clamore alla riservatezza piemontese". Bruno Manghi, allora coscienza critica e avanzata di marca Cisl, parla invece di "miracolo di Gianduia": malgrado gravata da tanto peso, Torino ha retto, ha fatto diga, ha prodotto integrazione, ha smaltito e accolto. La frase che citiamo è stata scritta su uno dei 350 gabinetti di Mirafiori. Piero Perotti, operaio delle presse dimessosi il 25 aprile del 1985, nel quarantennale della Liberazione, li ha fotografati tutti. Il suo libro, come nella tradizione degli annales francesi, racconta la storia minima di 30 anni di fabbrica. Gli sgarbi e i tic verbali. Gli odi Juve-Toro da strapaese, (Barot fa rima con robot); le dialettiche padrone- servo (Baracchini - ndr chi portava il pasto da casa - vi faremo cagare duro, un Capo); le ironie in sile Altan (La qualità si fa con il contributo di tutti, il profitto va nelle tasche di uno). Poesie scritte a lapis, annotate su pellicola prima di un addio.