Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 08:40.
«Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì all'accordo, tuttavia l'azienda deve avvertire la responsabilità di compiere atti per favorire un clima più disteso». Lo dice Piero Fassino, candidato a sindaco di Torino nel corso di una riunione congiunta delle segreterie piemontese e torinese del Pd dedicata all'accordo sul futuro di Mirafiori.
Per Fassino nel caso di un eventuale no all'intesa raggiunta tra azienda e sindacati (esclusa la Fiom Cgil) nel referendum, «quelli che pagherebbero sarebbero solo i lavoratori, perchè l'azienda potrebbe trasferire la produzione negli Stati Uniti o altrove».
Per Fassino «la maggior perplessità» sull'accordo per Mirafiori è la clausola sulla rappresentanza sindacale». «Questa nuova regola - dice l'ex segretario dei Ds - non è nè utile nè opportuna. Una strada per garantire all'azienda che gli accordi vengano applicati da tutti c'è: sarebbe sufficiente un accordo, interconfederale o anche solo tra azienda e sindacati, che stabilisca che ogni accordo va sottoposto a referendum ed il suo esito è vincolante per tutti i lavoratori e le organizzazioni sindacali».
Ma, per Fassino, c'è un'altra ragione di perplessità sulla clausola che esclude dalla rappresentanza i sindacati che non hanno firmato l'accordo: «Nessuna fabbrica - dice il parlamentare del Pd, candidato alle primarie per il sindaco di Torino - si governa solo con il comando, serve anche il consenso dei lavoratori, cosa che è più difficile nel caso una parte di essi e la loro organizzazione sindacale siano discriminati e umiliati».
L'accordo per Mirafiori, pur «oneroso e con sacrifici per i lavoratori» è, secondo Fassino, un punto fermo: «Nessuno può permettersi di rinunciare a investimenti che riguardano 15 mila persone, tra lavoratori della Fiat e dell'indotto, e che consente di rilanciare uno stabilimento chiave e che interessa la produzione di modelli d'alta gamma».