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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 07:38.
DAVOS - Le economie emergenti, viste come la grande speranza per la crescita mondiale quest'anno a Davos, sono strette in uno spinoso dilemma: lasciare che l'inflazione aumenti e mini la stabilità politica o alzare tassi e frenare l'economia?
«Intanto - dice Fatih Birol, capo economista dell'agenzia internazionale per l'energia - la quota del commercio tra le economie emergenti è aumentata rispetto a quella tra gli emergenti e le economie avanzate». India e Cina stanno aumentando i rapporti bilaterali e quelli con gli altri emergenti. Certo questi ultimi non sono il traino dell'economia globale ma se non possono (ancora) sostituire gli Stati Uniti come driver globale possono almeno ambire a tenere il motore acceso del Pil mondiale al 4,4% grazie al Pil cinese, indiano e turco che viaggiano al 10% annuo, rispetto all'asfittico 3% americano e al modesto 1,5% di Eurolandia. E l'uomo di Davos ne prende atto. Cindia (Cina e India) è la "nuova realtà" a cui si aggiungono i neo Brics.
Birol non nasconde che il rischio all'orizzonte di un World economic Forum dove tra i partecipanti regna «l'incertezza e la mancanza di una chiara direzione di marcia», è il «protezionismo commerciale e la guerra valutaria. L'ex vice presidente della banca centrale cinese, Zhu Min, rincara la dose durante il programma di Maria Bartiromo alla Cnbc tra le nevi di Davos affermando che «la ripresa a livello globale è ancora trainata da Cina e India».
«Il mondo industrializzato è in ripresa anche se relativamente modesta - gli fa eco Jakob Frenkel, presidente di Jp Morgan Chase international -. I pericoli all'orizzonte sono il debito fiscale che sta raggiungendo livelli insostenbili. C'è una sensazione condivisa che il settore finanziario sta gradualmente tornando in buona salute ma quello che serve è che le regole del gioco siano uguali per tutti. Le restrizioni che sono state messe in campo dalle autorità di controllo in Nord America devono essere uguali a quelle in Europa altrimenti creeremo un vantaggio legato alle diverse regolamentazioni tra le due sponde dell'Atlantico e questo non va bene».
Noriel Roubini concorda: «Quello che sta succedendo nell'Eurozona è uno dei rischi maggiori per la crescita globale», spiega il professore della New York University, alla sessione inaugurale dell'assemblea annuale del Wef.