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Economia Lavoro

Sacconi: un tavolo negoziale sul lavoro

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 19:22.

I mezzi di comunicazione, e la televisione pubblica in particolare, trattano e descrivono il mondo del lavoro e le sue dinamiche in maniera troppo superficiale e schematica, spesso indulgendo più alle prese di posizione politiche piuttosto che ai contenuti concreti. È l'opinione sempre più diffusa in una componente del sindacato e che si è rafforzata dopo gli accordi aziendali (e i successivi referendum) di Pomigliano d'Arco e Mirafiori. Un punto di vista che a raccolto l'attenzione del ministro Maurizio Sacconi che, sulla questione, ha lanciato la proposta di un tavolo negoziale.

Obiettivo un protocollo con regole condivise
Il ministro, intervenendo al convegno "Il racconto del lavoro nel lavoro che cambia", organizzato dall'Università Luiss di Roma in collaborazione con la Uil, ha indicato l'obiettivo di un protocollo in cui siano definite delle regole condivise attraverso le quali i mezzi di comunicazione, servizio pubblico in testa, parlando di questioni riguardanti il lavoro «possano diventare un moltiplicatore positivo e non invece strumenti di disorientamento di una società già ansiosa. Le parti sociali – ha proseguito – nel loro faticoso dialogo, possono legittimamente chiedere di negoziare un protocollo comune su come i media trattano il lavoro e lo descrivono all'esterno». Abbiamo bisogno che il mondo dell'informazione e della comunicazione - ha aggiunto Sacconi – «ci aiuti a far accedere le persone alla competenza e alla conoscenza. Io ho citato il maestro Manzi (conduttore della trasmissione televisiva Rai degli anni '60 "Non é mai troppo tardi!", ndr), a ricordo del tempo in cui la tv di stato ha concorso alla formazione di un popolo aiutando l'accesso alla lingua comune. Credo che occorra un Manzi postmoderno che consenta alle persone di essere sempre competenti e occupabili».

Proposta condivisa dalla Cisl
La proposta di Sacconi è condivisa dalla Cisl che con il segretario confederale Annamaria Furlan parla di iniziativa «assolutamente necessaria». «Da troppo tempo - ha detto la Furlan - il lavoro viene poco rappresentato nella sua valenza sociale ed etica in televisione e troppo spesso le trasmissioni sul lavoro mettono poco al centro il merito e le questioni vere, sottolineando, invece, le eventuali conflittualità in modo esasperato».

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Alla Cgil la proposta fa venire i brividi
Diversa la reazione della Cgil. Secondo il segretario confederale, Fulvio Fammoni, «Mette i brividi sentir parlare nel 2011 di linee guida sulla rappresentazione del lavoro in televisione da un governo il cui presidente del consiglio è proprietario del principale polo televisivo privato e azionista di riferimento della Rai». Secondo il dirigente sindacale «in Italia si parla poco e male di lavoro. Ben venga quindi un confronto su una situazione che denunciamo da molto tempo. Il ministro ne sente l'esigenza perché la sollevano Cisl e Uil? Non fa niente - conclude Fammoni - basta che se ne discuta davvero e nel merito».

Siddi (Fnsi): l'importante è che non si pensi a una sorta di Minculpop
Infine la risposta del segretario nazionale della Fnsi, Franco Siddi. «Va certamente bene se il governo decide di lavorare a una campagna perché il tema del lavoro, della sua dignità e del suo rispetto e la conoscenza della complessità delle sue trasformazioni siano posti, attraverso i media, al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica - ha detto Siddi -. Il sindacato dei giornalisti su questo punto non solo non si sottrae al confronto, ma da anni, inascoltato dai poteri editoriali e non solo, lamenta la difficoltà con cui i problemi e le criticità del lavoro, le sue voci tutte, non trovino spazio adeguato sui media, soprattutto quelli del servizio pubblico». L'importante, conclude Siddi, è che non si pensi a una sorta di Minculpop. «E non pensiamo neanche che il ministro del Lavoro Sacconi avesse in mente un'ipotesi del genere quando ha dichiarato di voler avviare un tavolo negoziale con il ministro dello Sviluppo economico per mettere a fuoco il rapporto tra lavoro e comunicazione».

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