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Economia Lavoro

Il ministro Sacconi: dopo Pomigliano e Mirafiori è possibile un rilancio del patto sociale

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2011 alle ore 08:10.

Superato il referendum a Mirafiori, l'accordo Fiat, che ora passa alla fase applicativa, deve rappresentare l'occasione strategica non solo per conservare la grande impresa che c'è e promuoverne altra attraverso nuovi investimenti ma anche per lanciare un'azione di straordinaria manutenzione del patto sociale che, in questi due anni e mezzo, ha consentito di governare con coesione la transizione imposta dal cambiamento epocale. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ne è convinto: con gli accordi di Pomigliano e Mirafiori si chiude la stagione della bassa produttività e dei bassi salari. «Si chiude la stagione ideologica del conflitto immanente tra capitale e lavoro che tanto ha pesato sulla vita delle grandi imprese, in particolare nell'industria metalmeccanica, considerata la punta avanzata dello schieramento di classe. Una visione che s'è tradotta in sottoutilizzo degli impianti, bassa occupazione, bassi salari. È finito quello che un tempo si chiamava controllo sociale della produzione».

Ministro ora il tempo del cambiamento lo detterà il management.
Non solo. In un clima di condivisione si apre la possibilità per l'impresa di adeguare rapidamente i tempi di lavoro e di produzione, potendo passare da due a tre turni, da cinque a sei giorni, allungando i turni e disponendo di un monte di ore di straordinario immediatamente esigibile. Senza rinvii a faticose e continue contrattazioni.

Marchionne promette salari tedeschi e la partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa.
La conseguenza della nuova possibilità di pieno sfruttamento degli impianti è la crescita dei salari e dell'occupazione. Si supera la fabbrica rigida dove era insufficiente la tensione agli obiettivi comuni, in cui lo sviluppo era dato per scontato e l'assenteismo era un prezzo che si riteneva di poter pagare. Ora si apre la sfida della condivisione, della cooperazione e, anche, della partecipazione ai risultati e agli stessi utili dell'impresa.

C'è anche una torsione nella vita di molti lavoratori.
Molti lavoratori si erano organizzati il tempo del non lavoro. E da lì vengono molti voti contrari, che non hanno un fondamento ideologico. Marchionne ha spiegato molto bene che l'intesa ora verrà gestita secondo una doverosa attenzione alle persone in carne ed ossa e non a un'indistinta massa di lavoratori. L'uso degli straordinari e dei sabati lavorativi sarà calibrato e attento alle problematiche dei singoli. Ecco, in questo senso esce smentita l'ipotesi di un accordo da ferriera dell'Ottocento che è stato dipinto da un caravanserraglio di piccoli borghesi ideologizzati nelle nomenclature della sinistra politica e sindacale, nella cosiddetta cultura e nell'informazione.

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Lei ha parlato di salto di qualità delle relazioni industriali nella direzione della cooperazione tra le parti.
Lo abbiamo scritto come obiettivo nel nostro Libro Bianco sul Welfare e nel piano triennale del lavoro. E questo accordo va nella giusta direzione: lo ha capito il gruppo dirigente di Confindustria e lo hanno compreso i sindacati riformisti. Proprio perché questo negoziato si è mosso nel solco aperto dall'accordo del 2009 interpretando in particolare le esigenze della grande impresa, in Italia non a caso così atrofizzata. Noi abbiamo ancora la cultura della grande chimica che può risorgere nella dimensione verde, così come possiamo consolidare la cantieristica e la siderurgia o sviluppare grandi strutture produttive anche nelle nuove tecnologie.

Il contratto aziendale è destinato a superare sempre più quello nazionale?
Il contratto aziendale non solo è equiordinato a quello nazionale, ma ne è per certi versi sovraordinato perché è più prossimo ai lavoratori.

È la logica della deroga che diventa sistema?
Non è tanto deroga al contratto nazionale ma legittima uscita da esso che sarà sempre più cornice essenziale. Nella dimensione aziendale, proprio in ragione della prossimità, si producono accordi che definiscono un migliore equilibrio di dare e avere tra le parti..

Cambieranno le relazioni industriali?
Le relazioni industriali, come dice la parola stessa, funzionano tra chi si relaziona, tra chi si impegna reciprocamente in sede negoziale, mentre rimane intatto il diritto alla libera associazione e organizzazione sindacale. L'auspicio è che si apra ora una stagione di relazioni industriali più semplici, più adattive, senza che si debba parlare di maggiore o minore democrazia a seconda dei meccanismi di rappresentanza.

Che iniziative di accompagnamento può assumere il governo in questa fase nuova?
Il governo ha messo a disposizione delle parti una serie di strumenti molto ampia in chiave di giusta sussidiarietà: meno legge e più contratto. Penso alla detassazione del salario di produttività o alla dotazione straordinaria di ammortizzatori sociali come i contratti di solidarietà o la cassa integrazione. Sono strumenti delle parti perché collegati alla contrattazione. E la stessa bozza di Statuto dei lavori è stata rimessa all'intesa tra di essi perché la sua principale innovazione dovrebbe consistere nella identificazione di un'area normativa dell'attuale Statuto che le parti potrebbero liberamente adattare nelle diverse aziende o nei territori.

Dopo l'accordo Fiat vede più vicino l'avviso comune sullo Statuto dei lavori?
Sì. Pomigliano e Mirafiori ci dicono che si può andare avanti e fare di più anche rispetto allo stesso pur coraggioso accordo del 2009. Rappresentanza, partecipazione, Statuto dei lavori, la stessa definizione dei modi di promozione dello sciopero per isolare l'abuso di minoranze estreme, possono dare luogo ad accordi e, solo ove le parti lo richiedano, a mirati interventi legislativi. Ma, come ho detto, meno legge più contratto, anche per non sollecitare la via giudiziaria in luogo di quella negoziale.

Il patto sociale ora può essere rilanciato?
Il governo bene ha fatto a credere fino in fondo nella responsabilità degli attori sociali nella crisi. Riforma delle pensioni, blocco dei salari nel pubblico impiego, commissariamento della sanità inefficiente nel Centro-Sud e altro ancora si sono prodotti senza le tensioni che abbiamo visto altrove. Ora possiamo procedere a una manutenzione straordinaria del patto su base tripartita, cioè istituzioni e parti sociali. Si deve collegare meglio l'uso degli ammortizzatori sociali alle politiche di accompagnamento al lavoro, si deve fare la buona formazione e diffondere – semplificandoli - i contratti di apprendistato. E il governo accetterà di coinvolgere le parti nello stretto monitoraggio degli investimenti pubblici o di pubblico interesse, diretti o indiretti, nell'energia, nelle infrastrutture, realizzati anche dai concessionari o dai licenziatari: dalle autostrade alle telecomunicazioni. Per non parlare della riforma fiscale a valle di quel federalismo che è ormai a portata di mano.

E la Cgil?
Anch'essa ha l'opportunità, se lo vuole, di rientrare in gioco partecipando di queste intese nella misura in cui è in grado di garantire per tutte le proprie categorie.

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