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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 20:46.

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Gli operatori critici sul piano del Governo per riformare i portiGli operatori critici sul piano del Governo per riformare i porti

GENOVA - Una normativa in fieri sui porti che, benché presentata come una riforma, sta alla legge precedente (la 84/94) come un maquillage e che, una volta approvata, sarà già vecchia e da rivedere. E poi il rischio di declino per il sistema portuale italiano se non si procede – eventualità finora accantonata dal governo – a individuare una serie di porti di destinazione finale, collegati con le grandi direttrici europee, ai quali devono andare risorse maggiori che agli altri scali. È il quadro che Luigi Merlo, presidente del porto di Genova, il più importante scalo in Italia, traccia sulla situazione delle nostre banchine.

La sua presa di posizione arriva nel momento in cui i porti italiani sono all'impasse, messi da tempo a digiuno di nuove risorse statali dal ministro dell'economia, Giulio Tremonti (a parte qualche stanziamento mirato, con l'ultimo Milleproroghe). Via XX settembre ha finora escluso dalla riforma della legge 84/94 il provvedimento per garantire agli scali l'autonomia finanziaria, attraverso il versamento alle Autorità portuali di una percentuale dell'Iva prodotta dai porti stessi.

Ciò a dispetto del fatto che la commissione Lavori pubblici del Senato stia cercando di trovare una copertura finanziaria per assicurare ai porti almeno l'1% del gettito Iva. Inoltre, mancano decisioni chiare del governo in merito a progetti di riassetto dei porti come quella (tutta privata) di un nuovo super terminal a Trieste-Monfalcone, proposta da Unicredit con l'appoggio dei danesi di Maersk.

«Mi auguro – dice Merlo – che la riforma della 84/94 sia varata. Perché permetterà di snellire le procedure per l'approvazione dei piani regolatori portuali e darà maggiori poteri ai presidente delle port Authority, consentendo agli enti di lavorare più serenamente. Bisogna dire, però, soprattutto perché manca l'autonomia finanziaria e una divisione fra porti, che si tratta di un maquillage, non di una vera riforma. E che, non appena sarà approvata, avrà bisogno di essere subito completata da un'altra legge, che dovrebbe tradurre la programmazione del piano nazionale della logistica e identificare le funzioni dei vari porti italiani, dividendoli tra nazionali e regionali. Il tutto in armonia con le scelte dell'Europa, che ha già individuato gli assi su cui concentrarsi (tra i quali l'adriatico e il tirrenico, ndr)».

Secondo Merlo, insomma, il governo «deve scegliere una serie di porti hub di destinazione finale legati alle direttrici europee; e dare a queste realtà risorse più adeguate delle attuali, nonché collegamenti ferroviari efficienti». E a quel punto si spiana la via anche a investimenti, in project financing, di privati. Per quanto attiene all'arco ligure, dove gli scali di Genova, Savona e La Spezia, già operano in collaborazione, Merlo dice che «occorre una sede istituzionale, può essere un tavolo, un'agenzia o altro, per attivare un coordinamento tra porti, Governo, regioni limitrofe interessate al traffico merci, come Piemonte e Lombardia, e banche, con l'obiettivo di armonizzare le scelte logistiche».

Una visione che media l'ipotesi, più radicale, di Maurizio Maresca, vicepresidente di Unicredit Logistics, il quale ritiene che in Italia ci sia spazio solo per «due grandi porti hub, uno a Nordovest (Genova) e uno a Nordest (Trieste) capaci di movimentare almeno 5 milioni di teu ciascuno e su cui concentrare tutti i collegamenti con l'Europa».

Una tesi che non piace al presidente di Assoporti, Francesco Nerli: «Se mi dicono che in Italia bisogna fare porti di serie A e serie B, io dico no. Ed è molto difficile anche concepire una divisione secca tra scali nazionali e regionali. La selezione tra porti si farebbe automaticamente con l'autonomia finanziaria. In alternativa ci sarebbero altre scale per stabilire quali porti debbano avere più stanziamenti e quali meno. Prima, però, il Governo deve dire di aver rinunciato a concedere l'autonomia». Ma anche all'interno di Assoporti non mancano le tensioni e i malumori. Alcune Autorità portuali non condividono le posizioni di Nerli, da tempo in contrapposizione al Governo. Per discutere la questione, avrebbe dovuto riunirsi ieri il direttivo dell'associazione. Ma il meeting è stato rinviato al 27 aprile e ci sono tutti i presupposti perché il confronto sia piuttosto aspro.

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