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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2011 alle ore 12:31.

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Bilanci non sempre facili per le compagnie dei portuali. Le società i cui lavoratori caricano e scaricano le navi, hanno subito (in misura maggiore o minore) le conseguenze della crisi economica scoppiata a fine 2008. A soffrire ancora i postumi del default mondiale c'è anche la Culmv, storica compagnia dei camalli genovesi, la più grande in Italia e quella che, dal 2009, dopo aver vinto una gara per l'assegnazione, opera secondo quanto prevede l'articolo 17 della legge sui porti 84/94. Offre, cioè, in esclusiva, manodopera aggiuntiva a quella assunta dai terminalisti, quando nel porto si verificano picchi di lavoro.

La Culmv conta oggi poco più di mille lavoratori, 990 dei quali operativi e il resto amministrativi.
Chiudendo il bilancio 2010 con un fatturato di 36 milioni (composto al 95% da salari), i camalli guidati dal console Antonio Benvenuti hanno dovuto attingere alle riserve messe da parte in passato. Nel 2010 la Compagnia unica ha totalizzato 165mila giornate lavorate: +16% rispetto al 2009 ma ancora poche rispetto alle 220mila del 2008, quando è iniziata la crisi mondiale. «Stiamo vivendo un momento difficile – afferma Benvenuti – ma speriamo che Genova aumenti le sue quote di traffico e, nel giro di un paio d'anni, tutto possa cambiare».

Diversa la situazione della Nuova compagnia dei lavoratori portuali di Venezia che, per il 2010, segna una crescita di fatturato del 43,55% sul 2009 e un trend di crescita del 56% nei primi mesi del 2011; conta, inoltre, 25.865 giornate lavorate nel 2010 (+52%) e prevede nel 2011 l'assunzione di 22 persone (di cui il 30% interinali). Occorre, però dire che la Nuova Clp è molto più piccola della Culmv (conta 98 addetti) e lavora su un unico terminal.

Le diverse compagnie portuali, spiega il presidente dell'Ancip (l'associazione che le raggruppa), Roberto Rubboli, «si sono trasformate secondo quanto prevedeva la 84/94. A Livorno c'è l'esempio di una ex compagnia che è divenuta terminalista, secondo l'articolo 18 della norma; mentre altre realtà del Sud operano secondo l'articolo 16 (fornendo operazioni e servizi portuali, ndr), in porti dove la quantità di traffici non richiede la presenza di molte imprese e di attrezzature imponenti.

Il sistema funziona ma, con la crisi, alcune realtà, anche importanti, hanno subito tracolli. È il caso di Trieste dove la società che operava secondo l'articolo 17 ha portato i libri in tribunale e dove sono andate in crisi anche diverse società autorizzate a lavorare secondo l'articolo 16. Realtà molto efficienti si trovano a Savona e Ravenna; mentre a Venezia la compagnia ha tratto giovamento dall'aumento di traffici del porto ma anche dal riordino delle autorizzazioni, operato dall'Autorità portuale». (R.d.F.)

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