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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2012 alle ore 17:00.

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BERKELEY – Noi economisti che siamo immersi nella storia di economia e finanza – e ben conosciamo la storia del pensiero economico riguardo alle crisi finanziarie ed i loro effetti - abbiamo ragione di essere fieri delle nostre analisi negli ultimi cinque anni. Abbiamo capito dove eravamo diretti, perché sapevamo dove eravamo stati.

In particolare, abbiamo capito che il rapido rialzo dei prezzi delle abitazioni, insieme con l’estensione della leva finanziaria, hanno sollevato rischi macroeconomi. Ci siamo resi conto che le grandi perdite dovute alle bolle nei patrimoni detenuti da istituzioni finanziarie con elevato rapporto di indebitamento avrebbero causato panico ed una fuga verso condizioni che garantiscono sicurezza, e che il tentativo di impedire una profonda depressione avrebbe richiesto un intervento attivo ufficiale come prestatore di ultima istanza.

In effetti, abbiamo capito che le cure monetariste si sarebbero probabilmente rivelate insufficienti, che gli stati hanno la necessità di garantirsi la reciproca solvibilità; e che ritirare il sostegno troppo presto avrebbe comportato pericoli enormi. Sapevamo che i tentativi prematuri per raggiungere un equilibrio fiscale a lungo termine avrebbe peggiorato la crisi a breve termine – e quindi sarebbe stato controproducente nel lungo periodo. E abbiamo capito che si era di fronte alla minaccia di una ripresa senza lavoro, a causa di fattori ciclici, piuttosto che a causa di cambiamenti strutturali.

Riguardo a tutti questi temi, avevano ragione gli economisti con un orizzonte storico. Si sbagliava chi ha detto che non ci sarebbe stata crisi, o che la ripresa sarebbe stata rapida, o che i veri problemi dell’economia erano strutturali, o che sostenere l’economia avrebbe generato inflazione (o alti tassi di interesse a breve termine), o che un’immediata austerità fiscale avrebbe un effetto espansivo. Non si sbagliavano solo di poco. Ma completamente.

Ovviamente, noi economisti orientati storicamente non siamo sorpresi che avessero torto. Siamo tuttavia sorpresi di quanto pochi siano stati coloro che hanno cambiato le loro convinzioni sul mercato in qualsiasi modo. Al contrario, molti di loro, la cui reputazione è compromessa, hanno rilanciato le loro idee, in apparenza nella speranza che gli eventi, per una volta, cambiassero il loro corso, e che la gente fosse così indotta a dimenticare le tracce della loro tremenda previsione.

Quindi la lezione è semplice: fidarsi di chi lavora nella tradizione di Walter Bagehot, Hyman Minsky, e Charles Kindleberger. Ciò significa affidarsi ad economisti come Paul Krugman, Paul Romer, Gary Gorton, Carmen Reinhart, , , Larry Summers, , Olivier Blanchard, ed i loro pari. Proprio come hanno avuto ragione riguardo al passato recente, così sono coloro che probabilmente capiranno la distribuzione delle eventualità future in maniera corretta.

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