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Norme e Tributi In primo piano

Uno studio europeo dimostra che la parità uomo-donna è (per ora) solo in uscita

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 08:01.

Nel labirinto di cristallo in cui si muovono le lavoratrici statali ora ci sarà uguaglianza di genere in uscita dal mercato del lavoro. Come nella maggioranza dei paesi europei. Peccato che sul fronte dell'uguaglianza nel corso del rapporto di lavoro ci sia ancora tanto da fare, per raggiungere gli standard degli altri. Così, anche nel settore pubblico, è calzante l'immagine di Alice Eagly e Linda Carli sulle lavoratrici perse nel labirinto di cristallo (tra doppio impegno a casa e in ufficio), che non alzano neanche lo sguardo verso il soffitto di cristallo costituito dalle difficoltà che impediscono loro di fare carriera (descritto nel 1986 da Carol Hymowitz e Timothy Schellhardt).

Lo rileva anche Chiara Monticone, 30 anni, che ha condotto per la Commissione uno studio all'interno del Cerp (il Centro di ricerca sul welfare diretto da Elsa Fornero, nell'ambito del Collegio Carlo Alberto di Torino). «Dalla comparazione dell'età pensionabile nei principali paesi europei - spiega - si nota che l'Italia e la Gran Bretagna restano fra i pochi a differenziare le età di uscita per gli uomini e le donne. La Germania ha la soglia comune dei 67 anni. Belgio, Olanda, Spagna e Danimarca dei 65, mentre la Francia ha scelto i 60 anni. Un capitolo a parte meritano Svezia e Finlandia, che hanno una finestra di flessibilità (la prima tra i 61 e i 67, la seconda tra i 63 e i 68) per entrambi i generi e questa, a mio avviso, è la migliore pratica europea».

Quasi tutte allineate le capitali europee, dunque, tranne Roma e Londra. «Ma la Gran Bretagna ha avviato una riforma che prevede l'equiparazione graduale, dal 2010 al 2020, fino ad arrivare a 65 anni per entrambi i generi - spiega la studiosa -. Ora l'Italia è costretta dalla Ue ad andare verso un allineamento tardivo e forzato del nostro sistema». Con la differenza, rispetto agli altri, che non ha un sistema di supporto alla famiglia di pari livello, in termini di servizi pubblici per la cura di bambini (vista la scarsità di posti disponibili negli asili nido), per i non autosufficienti e gli anziani. E vista la disparità di attività di cura dei familiari tra uomini e donne, a tutto svantaggio di queste ultime (con il risultato di un carico sproporzionato per le italiane, sommando i tempi di lavoro fuori e dentro casa).

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Anche gli altri stati, dunque, hanno voltato pagina rispetto alla visione antica di un welfare redistributivo, con un occhio di favore al segmento più debole. Una strategia frutto di una visione paternalistica della famiglia, che ha generato un'apparente generosità di trattamento in ambito lavorativo, ma che ora è obsoleta: è tempo di rimuovere le residue disparità di trattamento, in termini di opportunità di carriera e di corretto bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro e va avviata una riflessione culturale sulla diseguale divisione del lavoro tra uomini e donne.

Non fatica a riconoscere il gap Alessandra Servidori, Consigliera nazionale di parità. «Ora bisogna adeguarsi alla richiesta europea di equiparazione dell'età pensionistica tra uomini e donne nel pubblico impiego, ma ricordiamoci che il collegato lavoro ha prorogato di due anni la delega al governo per formulare una proposta di legge sull'occupazione femminile», dice. «È auspicabile – aggiunge – che maggioranza e opposizione lavorino insieme su questo tema, per dare un quadro omogeneo normativo che incentivi i servizi alla persona, le politiche attive per la flessibilità dell'orario collegate alla produttività, la formazione e il bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro. Una normativa che avvicini di più l'Italia agli altri paesi Ue».
laura.laposta@ilsole24ore.com

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