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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 07:58.
LUSSEMBURGO - Se davvero qualcuno si illudeva che Maurizio Sacconi avrebbe trovato ieri a Bruxelles la disponibilità a individuare una data tra il 2012, chiesta dalla Commissione europea, e il 2018, stabilito dal governo, per far scattare l'equiparazione dell'età pensionistica a 65 anni tra uomini e donne nel settore pubblico, si sbagliava.
Il ministro del Lavoro ha provato a insistere ma non c'è stato niente da fare. Ha trovato un muro. «Non c'è aria di sconti. Il concetto di gradualità viene rifiutato.
Giovedì in Cdm. Il 1° gennaio 2012 viene ritenuto il massimo accettabile per rinviare l'applicazione della sentenza della Corte Ue». Dunque Sacconi riferirà giovedì al Consiglio dei ministri, che dovrà prendere una decisione sapendo che un'eventuale sfida a Bruxelles comporterà il pagamento di sanzioni pesantissime. Secondo un calcolo fatto dai tecnici del ministero, se mettesse subito fine all'infrazione compiuta per non essersi conformata al verdetto di Lussemburgo, l'Italia sarebbe già chiamata a pagare una multa forfettaria di oltre 19 milioni di euro.
Niente aperture, niente spazio alla trattativa. Viviane Reding, il commissario Ue competente, non si è mossa di un millimetro ieri rispetto alla posizione espressa nella lettera fatta pervenire mercoledì scorso al ministro. «L'Italia ha avuto 20 anni per rispettare il diritto comunitario in fatto di parità retributiva tra uomini e donne, ora va messo ordine nel sistema. Con la sentenza del 2008 la Corte aveva intimato all'Italia di procedere all'equiparazione subito. Io ho chiesto di darle tempo fino al 1° gennaio 2012, mi sembra ragionevole». A chi le faceva notare che la precedente commissione aveva accettato, sia pure verbalmente, lo schema italiano del gradualismo da qui al 2018, la Reding ha risposto: «Siamo i guardiani dei trattati Ue. Non posso che ribadire che in democrazia le sentenze della Corte europea vanno rispettate».
Tutto comincia nel 2005 quando Bruxelles avvia una procedura contro l'Italia contestando il regime pensionistico dei dipendenti pubblici gestito dall'Inpdap per la disparità tra uomo (65 anni) e donna (60 anni) dell'età pensionistica. La questione finisce alla Corte Ue che nel novembre 2008 dà ragione alla commissione. L'Italia però non si conforma alla sentenza se non dopo una nuova lettera di messa in mora inviata da Bruxelles nel giugno scorso. La formula della gradualità in otto anni, fino al 2018 appunto, che sembrava accettabile alla precedente commissione Ue, non viene giudicata tale dalla nuova, in particolare dalla Reding. L'Italia non ha altra scelta se non mettersi in riga.