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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2010 alle ore 20:40.

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Gli Usa si interrogano su Pechino: svolta reale o solo di facciata?. Nella foto il segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner (a sinistra) a fianco del presidente Barack Obama (AP Photo)Gli Usa si interrogano su Pechino: svolta reale o solo di facciata?. Nella foto il segretario Usa al Tesoro, Timothy Geithner (a sinistra) a fianco del presidente Barack Obama (AP Photo)

NEW YORK – Un sistema "gestito" invece che "ancorato". Finalmente – e a sorpresa – la Cina, in odore di G20, e dopo mille bizzare polemiche fino ad appena poche ore fa, ha compiuto una svolta nella gestione dei cambi. La frase del comunicato e' ambigua, come lo sono del resto le frasi dei comunicati della Fed. Tuttavia un fatto e' certo: si dice chiaramente che "il mercato dovra' contribuire a raggiungere ...condizoni di equilibrio". Proprio come voleva nella sua lettera di qualche giorno fa Barack Obama: e la Casa Bianca ha espresso profonda soddisfazione. Il direttore del Fmi Dominque Strauss Khan e' addirittura felice:"Uno sviluppo davvero benvenuto...consentira', come chiede il G20, il rafforzamento dello yuan". Contento anche Tim Geithner, segretario al Tesoro americano, che lascia pero' " alla verifica del mercato una rapida applicazione del piano...". Charles Schumer, grande Senatore di New York, che tuono' minacciose ritorsioni commerciali contro Pechino, spera che non si tratti solo di un "contentino giusto prima del G20...".
Svolta reale o di facciata, dunque? La svolta c'e', perche' sono due anni, a partire dalla crisi finanziaria, che lo yuan e' agganciato fermamente al dollaro a quota 6.83. Sono due anni che tutti protestano e chiedono di liberalizzare almeno un po'. E sono due anni che la Cina resiste. L'ultima baruffa risale ai giorni scorsi. Giovedi' 17, Pechino, senza apparente ragione, fa trapelare dichiarazioni che attaccano chi vuole forzare la questione valutaria al G20 di Toronto, fissato per domenica prossima, il 27 giugno. Poi si scopre che il 16 Barack Obama aveva inviato una lettera al G20 in cui chiedeva ai cinesi di rivedere il sistema dei cambi: "ci vuole il mercato libero...." diceva il Presidente. I cinesi non sopportano le pressioni esterne. E dunque si sono scatentati: venerdi' mattina dal ministero degli Esteri giungevano dichiarazioni anonime addirittura minacciose: «Se consentiamo al G-20 di trasformarsi in un processo contro singoli partecipanti si rischieranno... serissime conseguenze per l'economia globale». Il portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang aggiungeva: «Crediamo che sia inappropriato discutere del tasso di cambio del renminbi nel contesto del G20». Due giorni dopo questa svolta. Davvero sincera? A 180 gradi?
Di certo il passaggio da un sistema "ancorato" a un sistema "gestito" porta una conseguenza, il renminbi si apprezzera' nei confronti del dollaro. Ma per capire se parliamo di facciata o di sostanza, lo dira' da qui alle prossime settimane soltanto la prova del mercato. Con uno yuan a quota 6.83 contro il dollaro, gli analisti ritengono che l'apprezzamento della valuta cinese su quella americana sia di almeno il 30%. E' difficile ovviamente immaginare uno yuan "gestito" scendere a quota 5.10 a breve. Ma se da qui alle prossime riunioni del G20, a novembre, ci sara' stato un apprezzamento diciamo di almeno il 12-15% - e da qui al g20 di Toronto diciamo del 3-5%, allora la Cina avra' fatto sul serio.
Lo sviluppo e' possibile. La Cina vuole accrescere la sua statura nel contesto dell'ordine multilaterale. E' da tempo che in materia di cambi due fazioni si scontrano ai vertici del paese. Economisti illuminati, appoggiati dalla Banca centrale, sono favorevoli a una maggiore flessibilita'. Anche per contenere il rischio di pressioni inflazionistiche, e rilanciare la domanda interna per compensare l'eccessivo peso delle esportazioni. Questa fazione ha acquisito peso dopo che il gruppo Qualconn, fornitore degli iPad alla Apple, per rispondere a una serie di suicidi interni all'azienda ha deciso di aumentare di molto gli stipendi. La conclusione: il rischio immagine era piu' importante della competitivita'. I politici invece, da vecchi saggi, resistevano: le riserve in valuta, l'occupazione e la crescita a traino delle esportazioni sono stati la via maestra su cui la cinesi hanno costurito i margini di profitto stratosferici. E dunque mai lasciare la strada vecchia per la nuova. Come finira'? Di questi tempi ci vuole ottimismo. Anche se il segreto e' racchiuso nelle dichiarazioni di venerdi'. Speriamo che i "politici" abbiano davvero cambiato idea. E che le dichiarazioni fossero davvero indirizzate in stizzita forma preventiva alle intrusioni di Barack Obama e non in forma ultimativa agli economisti e ai tecnici della Banca Centrale cinese.

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