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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2010 alle ore 07:46.

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Il Brasile prepara le armi per quella che il suo ministro delle Finanze, Guido Mantega, ha definito l'altro giorno «la guerra delle valute».
Il presidente della Banca centrale, Henrique Meirelles, ha dichiarato ieri che il paese «non pagherà il prezzo degli squilibri globali», che, ha detto, possono risolversi solo con un accordo tra Stati Uniti e Cina, e ha ventilato tre tipi di misure per evitare un'eccessiva rivalutazione del real: un aumento della tassa Iof sui capitali in entrata (il Brasile l'ha fissata al 2% l'autunno scorso per cercare, senza successo, di frenare gli afflussi), l'uso di reverse swap sul mercato dei cambi e gli interventi sul real del nuovo Fondo sovrano, ormai pronto a operare.

In Brasile, negli ambienti delle imprese esportatrici, rappresentati soprattutto dalla Fiesp, la potente associazione degli industriali di San Paolo, si teme che possano però rivelarsi armi spuntate e che la competitività sui mercati internazionali, già oggi messa a dura prova come dimostra la crescita dell'import molto più forte di quella dell'export, finisca per trovarsi schiacciata fra quei paesi la cui valuta si deprezza per la debolezza dell'economia, come gli Usa, e quelli che mantengono il cambio artificiosamente basso, come la Cina e il Giappone.
Gli interventi della Banca centrale finora non sono bastati, nonostante il Brasile abbia registrato, nei 12 mesi ad agosto, il maggior incremento di riserve al mondo dopo la Svizzera, con un +23% da 221 a 273 miliardi di dollari. Questo ha un costo pesante per le casse pubbliche, stimato da Markus Jaeger, di Deutsche Bank, in 50 miliardi di reais l'anno. Il Brasile, sostiene l'economista della banca tedesca, si trova sul lato sbagliato del carry trade: mentre gli investitori esteri ottengono un rendimento di oltre il 10% circa in Brasile, il governo del paese sudamericano ottiene uno 0,5% dalle sue riserve in dollari.
I favori degli investitori internazionali per il Brasile sono il riflesso, oltre che degli alti tassi, dell'elevato ritmo di crescita dell'economia, che potrebbe superare il 6% quest'anno. Gli investimenti di portafoglio, soprattutto azionari, negli ultimi 12 mesi (prima della ricapitalizzazione record da 70 miliardi di dollari della Petrobras) hanno toccato i 69 miliardi di dollari. Ma anche gli investimenti esteri diretti stanno rapidamente tornando ai livelli pre-crisi. Octavio de Barros, capo economista del Banco Bradesco, prevede che raggiungeranno i 30 miliardi di dollari nel 2010 e i 40 nel 2011.

Barros è peraltro convinto che un eccessivo apprezzamento del real verrà limitato dal peggioramento del deficit delle partite correnti (anche se il Brasile non ha evidentemente alcuna difficoltà a finanziarlo in questa fase), oltre che dall'aumento degli interventi della Banca centrale. Questo dovrebbe bilanciare l'enorme afflusso di investimenti e i fondamentali macroeconomici a favore del real. «Paradossalmente - dice Barros - né il crescente disavanzo esterno, né gli interventi provocheranno una netta svalutazione». Il Bradesco ha anzi appena rivisto al rialzo le sue previsioni per il real, tenuto conto della tendenza all'indebolimento del dollaro, e ritiene che il cambio si attesterà a 1,75 a fine 2010 e a 1,80 a fine 2011 (contro precedenti stime di 1,80 e 1,90).
Negli ambienti finanziari brasiliani c'è comunque scetticismo unanime sull'auspicio avanzato da Meirelles che il G-20 del mese prossimo in Corea possa servire a raggiungere un maggior coordinamento che sventi la "guerra delle valute".

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