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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 08:05.

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BRUXELLES - E se alla fine della guerra valutaria in corso tra le principali divise mondiali a farne le spese fosse essenzialmente solo l'euro? È questo lo scenario più temuto dai tre signori della moneta unica che ieri mattina a Bruxelles hanno affrontato la questione con il premier cinese Wen Jiabao. Senza esito.
«Le nostre analisi sulla situazione dei cambi sono divergenti», ha commentato al termine dell'incontro, con franchezza inabituale, Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, sottolineando che «un apprezzamento graduale, ordinato e a largo raggio dello yuan favorirebbe lo sviluppo di una crescita mondiale più equilibrata».
Più che ai massimi sistemi, Olli Rehn è andato al sodo, alle prospettive di crescita dell'economia europea che, dopo alcuni segnali di rafforzamento, promette di perdere mordente nel secondo semestre. «Se l'euro continuerà a dover sostenere un onere sproporzionato nel processo di aggiustamento dei tassi di cambio, la ripresa europea potrebbe indebolirsi» ha avvertito il commissario Ue.

Non è soltanto l'America di Obama, insomma, a lanciare allarmi e minacce contro le manipolazioni monetarie di Pechino che erodono occupazione e competitività del Made in Usa. Anche l'Europa alza la voce perché sa di rischiare un aggiustamento globale delle parità monetarie sulla sua pelle. Tra gli Stati Uniti che lasciano scivolare il dollaro e il Giappone che frena il super-yen, tra Brasile e Corea del Sud che con gli stessi obiettivi imbrigliano i flussi di capitali e la Cina che, di fronte alle pressioni internazionali, risponde sostanzialmente picche ricordando che una rapida svalutazione della sua moneta farebbe saltare a centinaia le imprese cinesi.
Più morbidi i commenti di Jean-Claude Trichet, il "terzo uomo" del dialogo di ieri con Wen. «C'è ancora da sfruttare il potenziale della decisione presa il 19 giugno dalle autorità cinesi per una politica di cambio più flessibile» ha sottolineato il presidente della Bce. «Abbiamo detto ai nostri amici cinesi che è importante che l'impegno sia confermato. E così è stato. Dunque ci aspettiamo un apprezzamento della yuan nei prossimi mesi». Trichet ha sottolineato che invece finora l'evoluzione dei tassi di cambio effettivi in termini reali, compresi quella yuan-euro, «non è stata esattamente quella sperata». Però ha anche aggiunto di aver apprezzato la decisione cinese di acquistare le obbligazioni sul debito pubblico greco in quanto manifestazione di fiducia verso la politica di stabilizzazione europea.

Per il resto il vertice Ue-Asem, che ha raccolto a Bruxelles i 48 paesi partecipanti, si è concluso ieri con l'accordo per consolidare una ripresa economica ancora fragile e avviare una riforma del Fmi che riconosca maggiore peso alle economie emergenti di Asia e altri continenti. Di qui l'impegno comune a incoraggiare domanda interna e investimenti attraverso la progressiva liberalizzazione dei mercati interni e internazionali, recita il comunicato finale della riunione.
Il vertice è stato l'occasione per il cancelliere tedesco Angela Merkel per spezzare una lancia a favore dell'iniziativa contro la speculazione sui prezzi delle materie prime che sarà uno dei cavalli di battaglia della Francia di Nicolas Sarkozy, da novembre alla presidenza del G-20. L'altra, ben più ambiziosa, riguarderà (vedi «Il Sole-24Ore di ieri) la riforma del sistema monetario internazionale.

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