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Giro del mondo senza banconote

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 06:39.

La globalizzazione? Non c'è nulla di nuovo sotto il sole. In un libretto del 1919, «Le conseguenze economiche della pace», John Maynard Keynes ricorda «quello straordinario episodio nel progresso dell'uomo che venne a finire con il 1914».

«L'abitante di Londra – scrive Keynes – poteva ordinare per telefono, sorseggiando a letto il tè della mattina, qualsiasi prodotto del globo intero, in qualsiasi quantità desiderasse, e confidare in una consegna ragionevolmente sollecita, sull'uscio della propria casa; poteva con gli stessi mezzi e negli stessi tempi investire i propri soldi nelle risorse naturali e nelle nuove intraprese in ogni angolo del mondo, e condividerne senza sforzi o disturbi gli eventuali frutti; oppure poteva decidere di legare la sua fortuna a quella dei titoli emessi da Stati o municipalità in ogni continente... Poteva avventurarsi all'estero, usando trasporti non cari e confortevoli, verso qualsiasi Paese e qualsiasi clima, senza passaporti o altre formalità. Poteva mandare un incaricato alla banca per ritirare qualsiasi quantità di metalli preziosi di cui avesse bisogno, e poteva poi andare all'estero, senza conoscenza di altre religioni, altre lingue o altri costumi, portando nelle tasche oro coniato, e sarebbe stato molto sorpreso e annoiato alla minima interferenza. E infine – ed è questa la cosa più importante – considerava questa situazione come qualcosa di normale, certo e permanente, e qualsiasi deviazione da questo stato di cose come un'aberrazione e uno scandalo».

Keynes sembra quasi dipingere Phileas Fogg, l'eroe di uno dei libri più cari della nostra giovinezza, «Il giro del mondo in ottanta giorni».

Giulio Verne – lo pronunciavamo all'italiana – descrive le affascinanti avventure di questo gentiluomo londinese, uno scapolo ricco ed eccentrico, meticoloso e impaziente: aveva licenziato il suo valletto, James Foster, perché gli aveva portato l'acqua per radersi alla temperatura di 84 Fahrenheit (29 °C) invece di 86 F (30 °C). E in compagnia di un nuovo valletto – il francese Passepartout – si imbarca in una arrischiata scommessa: la posta è di 20mila sterline (siamo nel 1872, e la somma corrisponde a più di un milione di sterline di oggi) e l'oggetto è nientemeno che fare il giro del mondo in ottanta giorni.

Allora la cosa era diventata fattibile grazie a tre grosse novità: il completamento della tratta ferroviaria intercontinentale in America, un analogo completamento da Bombay a Calcutta nel subcontinente indiano, e l'apertura del canale di Suez. Comunque sia, Phileas e Passepartout partono per la grande impresa.

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Tags Correlati: James Foster | John Maynard Keynes | Jules Verne | Londra | Mercato dei cambi | Phileas Fogg | Stati Uniti d'America

 

Il bagaglio è leggero: ognuno ha solo due camicie, tre paia di calze, un impermeabile, un mantello e un paio di scarpe di ricambio. Ma se il bagaglio è leggero, i soldi sono tanti: Phileas si porta appresso un enorme fascio di banconote, 20mila sterline, e, per quanto riguarda l'oro coniato che Keynes raccomanderà mezzo secolo dopo, nelle tasche ci sono anche venti ghinee (equivalenti a circa 1.400 sterline di oggi), che aveva vinto la sera prima giocando a whist.

Phileas è stato fortunato: fra le tante e mirabolanti avventure che gli capitano, fra gli esasperanti contrattempi che deve subire, i pericolosi incidenti di percorso, gli incontri/scontri con tipi poco raccomandabili, non c'è stato mai il furto del suo fascio di soldi. Né, per la verità, poteva esserci nell'economia della trama: tante furono le occasioni in cui Phileas Fogg si traeva d'impaccio distribuendo bigliettoni, forse per accelerare il tempo di viaggio della nave a vapore che li portava a Bombay (più carbone alle fornaci!), per comprare un elefante ovviando a una tratta interrotta delle ferrovie indiane, per "oliare" l'ammutinamento dell'equipaggio di una navicella che viaggia da New York a Bordeaux e farsi portare invece a Liverpool, e infine, quando il vascello rimane senza carburante, per comprare la nave stessa dall'irato capitano, e completare il viaggio bruciando tutto il legno che c'è a bordo... I romanzi hanno le loro esigenze, e quei soldi non potevano essere rubati o persi. Ma il mondo reale è diverso e quei rischi devono essere presi in considerazione. Nel 1872 le carte di credito non c'erano, ma Jules Verne è stato anche uno dei primi scrittori di fantascienza (almeno rispetto a quel che in quegli anni sarebbe stato considerato "fantascienza"). Basta leggere il «Viaggio al centro della terra», «Ventimila leghe sotto i mari», «Dalla terra alla luna», per non parlare dell'incredibile «Parigi nel XX secolo», dove perfino si profila l'Internet!

Insomma, Verne avrebbe ben potuto prevedere le carte di credito! E Phileas Fogg avrebbe avuto tante preoccupazioni in meno. Nessun rischio di furto dei contanti, e, quando si fosse trattato di pagare in rupie o in dollari non c'era rischio di confondersi col cambio: la traduzione da monete straniere in sterline era certa, onesta ed eguale per tutti. Per non parlare del fatto che gli addebiti sul conto in banca di Phileas a Londra avrebbero goduto di un periodo di grazia, senza interessi: ottanta giorni no, ma forse quaranta sì!