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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 15:25.
Ma non è solo questione di conformismo (o meno). Nel costruire la nostra decisione d'investimento, spesso pensiamo di essere oggettivi. Un'illusione: in realtà, siamo condizionati dai limiti della nostra mente. Accade, per esempio, nel fenomeno della familiarità: confortati dalla notorietà di un titolo siamo spinti a comprarlo. «Quasi sicuri del trend al rialzo, però - afferma la Linciano - non ci accorgiamo dell'errore in cui cadiamo: modifichiamo il nostro rapporto rischio-rendimento».
Peraltro, il marketing finanziario conosce benissimo simili meccanismi. In un interessante studio due esperti, Adam Alter e Daniel Oppenheimer, sono riusciti a dimostrare l'influenza del nome di una società in fase di Ipo sulla sua performance. «I tiker code, molto usati dagli investitori – scrivono –, più sono semplici da pronunciare e più invogliano all'acquisto» A Wall Street, nel primo giorno di collocamento, le società "pronunceable" sovraperformano quelle "unpronouceable". Un trend che si ripete anche sulla settimana per, poi, andare via via scemando sul lungo periodo. Qui, per fortuna, riacquistano rilevanza prezzo di collocamento, fondamentali della società e le prospettive di sviluppo industriale. Ciò non toglie, però, che nella fase iniziale della quotazione l'investitore (soprattutto il retail) conosca poco della società. La conseguenza? Si "affida" a ciò che gli sembra più familiare. Il gioco dura per un po', poi il rendimento scende.
Rendimento che può sfumare anche a causa della cosiddetta recuperabilità. Ciò avviene quando stimiamo verosimile non l'evento più probabile, bensì quello che ricordiamo meglio. Nel definire, per esempio, la probabilità di default di un'azienda può accadere di riportare alla mente solo i casi simili di fallimento. Scordiamo, cioè, le imprese che hanno risanato i conti. «Il fallimento, l'evento negativo - sottolinea Rubaltelli - rimane più impresso nella nostra mente: si allontana con maggiore forza dalla nostra normalità e lo ricordiamo meglio». Risultato? Vendiamo il titolo dell'azienda, che magari supera la crisi, perdendo l'eventuale rally. «In questi casi, la soluzione può essere sfruttare un ampio database».
Da non dimenticare, poi, un'altra tipica fonte di errore: l'ancoraggio. È l'abitudine di fare previsioni in base a una stima iniziale, a un prezzo considerato "giusto". Un'ancora cui la nostra mente si lega e ci impedisce, a fronte di novità, di reagire prontamente. Così accade con i prezzi di carico delle azioni o i valori della volatilità (Vix) su cui può essere tarato il trading. «In quest'ultimo caso - consiglia Milano - se c'è un cambiamento improvviso, il controvalore dell'operatività va ridotto».
Insomma, molti sono gli errori conseguenti al fatto che non siamo così razionali e molte sono le precauzioni da prendersi in attività dove è stato dimostrato l'istinto ha una notevole rilevanza. «Credo che l'approccio della finanza comportamentale sia essenziale», dice Vittorio Conti, presidente vicario della Consob. Aggiungendo che «nell'attività di tutela del cliente-riparmiatore, implicitamente bisogna tenere conto anche dei meccanismi decisionali. Sia quelli di carattere più oggettivo; sia quelli soggettivi per i quali le scienze comportamentali possono, e debbono, dare il loro contributo».
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