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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 06:39.

Quello tra risparmiatori italiani e obbligazioni è un amore intenso e di lunga data. Ha infatti lasciato un segno profondo nella composizione delle attività finanziarie delle famiglie: i bond (titoli governativi e obbligazioni corporate o societarie) pesano per circa il 20% nel patrimonio degli italiani. La stessa voce vale l'1,6% per i francesi, il 7,8% per i tedeschi e il 2,6% per gli spagnoli. Nell'area euro la media risulta dell'8% (i dati, riportati da Borsa Italiana, sono riferiti al 2009).
In particolare, nel caso dei titoli di stato la passione prosegue da decenni e, dopo un periodo relativamente più tiepido dovuto a vari motivi tra cui la modestia dei rendimenti, sembra che negli ultimi tempi si stia assistendo a un aumento di interesse. Diversi fattori contribuiscono a questo ritorno di fiamma, a cominciare dall'avversione al rischio per proseguire con una certa delusione per i prodotti di investimento più sofisticati (e costosi) come quelli gestiti. La conferma arriva dall'andamento delle ultime aste, che hanno riscontrato una robusta domanda (sempre superiore agli importi offerti) per tutte le tipologie di titoli e anche per le lunghe durate. Caso recente quello del 14 febbraio, in cui l'offerta di Btp a 5 anni (3,5 miliardi) è stata abbondantemente superata dalla domanda (5 miliardi) e una situazione simile si è verificata perfino per i più "ostici" titoli trentennali. Considerato l'elevato rischio di tasso e le conseguenze pesanti sulle quotazioni in caso di ritocchi della Banca centrale, i rendimenti risultano piuttosto compressi: sono rispettivamente pari al 3,77 e al 5,51% lordo. Del resto, questa è una costante per tutte le durate: i tassi offerti variano dall'1,42% del Bot a sei mesi al 5,06% del Btp a 15 anni (dati lordi). Naturalmente va chiarito che le richieste di sottoscrizione non sono riconducibili solo ai risparmiatori privati italiani (anche dagli investitori professionali e dall'estero, infatti, continuano ad arrivare segnali di gradimento), ma comunque rappresentano bene il clima che, come si è visto, si spiega solo in parte guardando ai rendimenti.
Non basta. La voglia di governativi sembra talmente forte da far tenere in scarsa considerazione anche i ripetuti giudizi critici espressi in queste settimane dagli esperti. Analisti e operatori hanno sottolineato che le condizioni di mercato sono poco propizie per i bond, in particolare per le durate più lunghe. Dall'inflazione arrivano segni di risveglio e si fanno dunque più probabili (e forse più ravvicinati) interventi al rialzo da parte della Banca centrale.
«In effetti - spiega Angelo Drusiani, responsabile obbligazionario di Banca Albertini Syz - siamo in presenza di un'onda lunga, che ha preso avvio dalla metà del 2009 e forse ancora da prima, dal fallimento della banca americana Bear Stearns. Una larga fetta di investitori ha scelto impieghi in grado di garantire il capitale nominale, rinunciando a rendimenti potenzialmente più elevati in cambio di un basso profilo di rischio. Da notare che non si tratta solo di Bot people, ma anche di investitori istituzionali. L'effetto si è visto, tra l'altro, nell'andamento dei tassi del Bund, che è stato considerato una specie di bene rifugio: la forte domanda ha mantenuto molto bassi i rendimenti, che solo recentemente hanno accennato a un rialzo».
Un punto di vista macroeconomico ridimensiona in parte il fenomeno, senza però modificarne gli sviluppi più recenti. «Lo spazio dei titoli pubblici nella ricchezza delle famiglie italiane - precisa infatti Giovanni Ajassa, responsabile del Servizio studi Bnl, Gruppo Bnp Paribas - si è andato riducendo negli ultimi 10-15 anni. Se prendiamo l'ultima indagine della Banca d'Italia sulla ricchezza delle famiglie scopriamo che i titoli pubblici italiani nelle mani della clientela retail ammontavano a 330 miliardi di euro nel 1995. Quei 330 miliardi sono scesi a 190 miliardi nel 2009, su una ricchezza finanziaria complessiva di 3.565 miliardi, cioè poco più del 5 per cento. Negli stessi anni, il debito pubblico italiano è salito da 1.151 a 1.764 miliardi di euro. Alle nostre spalle c'è quindi un lungo trend di ridimensionamento del peso dei Bot people, cui adesso fa seguito una fase congiunturale di segno opposto. Il titolo pubblico torna verosimilmente a esercitare un maggiore appeal sul risparmiatore. Uso l'avverbio "verosimilmente" perché ancora non disponiamo di solide evidenze statistiche su una risalita della quota di ricchezza investita in titoli pubblici negli ultimi mesi».
Quanto durerà questo ritorno di fiamma? Difficile previsione, perché entrano in gioco molti fattori di natura diversa, dalle difficoltà economiche delle famiglie al clima di scarsa fiducia che oggi circonda altri strumenti di investimento. «Tuttavia - conclude Ajassa - se la ripresa economica si farà più forte e diffusa il ritorno dei Bot people potrebbe rivelarsi di breve durata».
Intanto però è bene non dimenticare che l'investimento in titoli di stato, per quanto sicuro, richiede qualche cautela. Quali sono le istruzioni per l'uso? «In questo momento - risponde Drusiani - la scelta migliore è quella attendista. In pratica, conviene scegliere titoli con durata di 6-12 mesi dal momento che, a scadenza, potrebbero esserci condizioni migliori di quelle attuali. Un'ulteriore crescita dell'inflazione potrebbe spingere Bce e Fed a intervenire con ritocchi dei tassi fino a un punto percentuale nell'area euro».
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