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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 08:07.

ll petrolio vola a 111 dollari: ora si teme la stagflazionell petrolio vola a 111 dollari: ora si teme la stagflazione

Il problema delle forniture di gas per l'Italia, dopo la crisi libica, non si pone «né nel breve né nel lungo termine». Lo ha detto l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, al termine di una audizione al Copasir sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici nazionali. «Il problema per l'Italia non si pone - ha detto -, abbiamo aumentato il flusso da nord, la Libia rappresenta relativamente poco, circa il 10% del gas, siamo alla fine della stagione invernale e in Europa c'é gas in abbondanza (Radiocor)

di Walter Riolfi
Può darsi che i mercati finanziari stiano sottostimando quanto sta avvenendo in Libia e negli altri paesi arabi. Tutto sommato Wall Street e le Borse europee non hanno drammatizzato, essendo scese meno del 3% da venerdì scorso. Può darsi che gli analisti stiano invece sovrastimando i rischi per l'economia internazionale derivanti da un nuovo shock petrolifero. A Nomura, hanno ipotizzato un balzo del petrolio a 220 $ se Libia e Algeria dovessero entrambe interrompere la produzione. Può darsi che Ben Bernanke e gli altri uomini della Fed siano in gran ambascia vedendo quello che sta succedendo.

Rapporto riservato / Tre possibili vie d'uscita dalla crisi libica (di Giuseppe Oddo)

Volevano far ripartire l'inflazione inondando il mercato americano con acquisti di Treasury per altri 600 miliardi e rischiano di ritrovarsi adesso un'inflazione oltre modo gonfiata a causa del volo congiunto dei prezzi agricoli e dell'energia. Può darsi che tutto questo micidiale cocktail finisca per far arenare una ripresa dell'economia che, per molti versi, appare ancora fragile e che s'interrompa l'ulteriore rialzo delle borse stimato per i prossimi due anni, come teme David Greely di Goldman Sachs. Può darsi, infine, che abbia ragione Mohamed El-Erian di Pimco che vede nel breve termine il sopravvento della «stagflazione nell'economia mondiale». E sarebbe lo scenario peggiore.

Ieri la Libia ha tagliato la produzione di petrolio: del 20-25% secondo alcune fonti, mentre altre si spingono a ipotizzare un blocco di circa 800mila barili, ossia oltre metà della capacità complessiva del paese. Il greggio a New York è volato a 100 $ (era a 84$ qualche giorno fa) e il Brent è finito oltre 111 $. Il paese conta per il 3% della produzione mondiale. Niente di così irreparabile, argomentano alcuni: vorrà dire che altri paesi incrementeranno le estrazioni. Nessun rischio per l'economia, aggiunge Timothy Geithner ministro del Tesoro Usa: l'economia è in gran forma e sa come destreggiarsi con gli alti prezzi del petrolio, ha dichiarato ieri, e inoltre le «banche centrali hanno una grande esperienza nel maneggiare queste cose». Forse. Ma quel che sfugge a Geithner (o, più probabilmente quel che il ministro non vuol dire) è che c'è il rischio concreto di una «crisi sistemica» che, dopo Egitto, Tunisia, Libia e Barhein, coinvolga anche altri paesi arabi e islamici (Iran), come teme El-Erian.

L'amministratore delegato di Pimco è una delle menti economiche più lucide e, essendo di origini egiziane, conosce molto bene anche i problemi dei paesi del Nord Africa e Medio Oriente. Il suo timore è che quanto sta avvenendo possa fare da catalizzatore a un più vasto sconvolgimento nell'intera regione. Per dare l'idea del rischio, basti pensare che su Facebook già circolano le chiamate per una mobilitazione in Arabia Saudita («Saudi Revolution 20 march»). Non si sa che peso dare a questi annunci, ma non siamo nelle condizioni di sottovalutare nessun fenomeno. Tanto più quando si parla del maggior produttore mondiale di greggio (12%) e, pur con un sistema di governo tra i più autocratici nella regione, del miglior alleato degli Stati Uniti.

Il peggior allarme l'hanno lanciato gli analisti diNomura osservando il comportamento del petrolio nelle crisi che si sono succedute negli ultimi 40 anni. «Durante i 7 mesi della Guerra del Golfo (1990-91) – scrivono – i prezzi sono schizzati del 130% poiché l'Opec aveva ridotto la propria capacità in eccesso di 1,8 milioni di barili al giorno. Allo stesso modo, oggi, se Libia e Algeria dovessero sospendere la produzione, la capacità in eccesso dell'Opec si ridurrebbe di 2,1 milioni di barili e i prezzi del petrolio potrebbero volare». Oltre i 220 dollari, senza contare che oggi la speculazione è molto più attiva di quanto fosse 20 anni fa. Le conseguenze le descrive El-Erian: saliranno i costi della produzione industriale e dei servizi, si cercherà di aumentare le scorte creando pressione sui prezzi di quasi tutte le commodity, si ridurrà la capacità di spesa delle famiglie. «Nei prossimi giorni i mercati reagiranno bruscamente al mutato scenario geo-politico e alle conseguenze sull'economia mondiale», conclude il numero due di Pimco.

In Europa, ieri, l'indice Stoxxha perso l'1,05% (-1,69% Francoforte, -1,22% Londra, -0,92% Parigi, -0,29% Milano). A Wall Street, l'S&P ha limitato le perdite allo 0,61% (-1,21% il Nasdaq), mentre l'indice Vix (volatilità delle opzioni) è salito oltre 23 punti, segnalando i livelli di rischio visti a fine novembre.

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