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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2011 alle ore 08:18.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
Chi nei giorni scorsi ha avuto l'impressione di un ammorbidimento della posizione di Hermès nei confronti di Lvmh deve ricredersi. Nel presentare gli eccezionali risultati 2010 della maison di Faubourg Saint-Honoré il numero uno Patrick Thomas è stato chiaro, duro e sarcastico ai limiti dell'arroganza: «Bernard Arnault era, è e resterà un azionista indesiderato e indesiderabile. Non ci sono e non ci saranno collaborazioni di alcun genere. La nostra cultura d'impresa è incompatibile con quella di un grande gruppo finanziario, Lvmh o altri. Non rinunceremo mai ai nostri obiettivi di lungo periodo, incentrati sulla qualità del lavoro artigianale, con obiettivi finanziari di breve periodo. Il modello d'impresa di Hermès, che peraltro mi sembra avere un certo successo, dura da sei generazioni e ne durerà altre sei. Non siamo e non entreremo mai in una logica di marketing».
Certo i numeri dell'esercizio appena chiuso sono altrettanto chiari. Le vendite (2,4 miliardi) sono cresciute del 18,9% (e del 25,4% a tassi costanti) con un ottimo andamento – questa è la vera notizia , al di là dell'ormai scontato boom cinese – nei Paesi europei: +18,1% la Francia, +17,9% l'Europa. Altro che mercati maturi!
Il risultato operativo sale del 44,3% a 668 milioni (nonostante un aumento del 33% delle spese in pubblicità, soprattutto in Asia), cioè al 27,8% del fatturato. Si tratta del miglior risultato dall'ingresso in Borsa, nel 1993. Superiore persino al pur straordinario "cru" del 2003 (27,1%). L'utile netto è cresciuto del 46% a 422 milioni.
L'unico segno meno arriva, ancora una volta, dal Giappone, in calo dello 0,8 per cento. Anche se Thomas non sembra troppo preoccupato: «Nonostante tutto i giapponesi restano i nostri più importanti acquirenti. Dobbiamo però adeguarci alla situazione di quel mercato, dove il 50% della nostra presenza è in concessione, soprattutto nei grandi centri commerciali. E questi ultimi sono ormai orientati a un calo delle vendite del 3% nei prossimi vent'anni. Il clima di rassegnazione danneggia le vendite. Nei nostri negozi e nei punti vendita che abbiamo ripreso in gestione diretta c'è già una forte ripresa. Quindi continueremo a muoverci in questa direzione».
In tutto il mondo le vendite peraltro vanno molto meglio nei negozi di proprietà. E questo spiega la politica Hermès di questi ultimi anni: i punti vendita in gestione diretta sono passati da 145 a 193 (saranno 206 a fine 2011) e quelli in concessione da 107 a 124.
Infine il delicato tema della holding e della famiglia. Nelle scorse settimane si sono infatti diffuse voci secondo cui una parte degli eredi non sarebbe entusiasta della costituzione della holding non quotata, decisa come ultima e inviolabile difesa di fronte all'attacco di Arnault.
«Voci – ha commentato Thomas con palese riferimento a Lvmh – che sono state messe in giro ad arte. Vi posso assicurare, e d'altronde potrete verificarlo nei prossimi mesi, che la famiglia è compatta nell'approvare il progetto della holding, che avrà sede in Francia».
La società verrà costituita subito dopo la sentenza finale della magistratura, che deve pronunciarsi sul ricorso contro la decisione, positiva, della Consob francese. Secondo Hermès vi hanno aderito 52 eredi (quelli cioè azionisti rispetto ai 73 totali) su 53. Manca ancora Nicolas Puech, che risiede in Svizzera e detiene poco meno del 5%, ma apparentemente solo perché non è ancora stata trovata la soluzione ad alcuni problemi di natura fiscale.
Thomas, che a titolo personale è favorevole a un per ora impossibile delisting, ha poi annunciato che lascerà entro due o tre anni e sarà sostituito da uno dei sei membri del comitato esecutivo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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