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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 08:51.
Ormai ci siamo. La Bce, giovedì, ha annunciato che i tassi potranno salire, forse già a partire dal 7 aprile, dall'attuale 1 per cento. Nulla di certo, ma la direzione ormai sembra questa: l'inflazione sta diventando un problema almeno quanto la disoccupazione o i deficit fiscali.
I consumatori se ne sono già accorti. Soprattutto alla pompa di benzina. A gennaio, in Eurolandia, il costo dell'energia è salito del 12% annuo, quello dell'alcool e del tabacco del 3,7%, quello dei trasporti del 5,1%, quello per la casa, che comprende anche elettricità acqua e combustibili, del 4,5 per cento. In Italia, i dati di gennaio appaiono appena più "freddi", ma a fine febbraio è stata annunciata un'accelerazione per l'intero paniere, con tutta probabilità guidata dai prezzi già in surriscaldamento. Si saprà di più nelle statistiche di metà mese.
Tecnicamente, però, non è ancora inflazione. Per ora il rialzo di petrolio e prodotti alimentari è solo un cambiamento dei prezzi relativi: il loro costo, cioè, aumenta rispetto a quello di altri prodotti. Non c'è ancora un aumento davvero generalizzato del costo della vita. Ne deriva comunque una redistribuzione dei consumi (ma anche dei redditi) con effetti per ciascuno di noi e per tutta l'economia. L'esperienza mostra che in una prima fase, in genere, si intaccano i risparmi o si fanno debiti: quando si può, evidentemente. Poi, quando i rincari appaiono ormai strutturali e non momentanei, si riducono i consumi di tutti i beni. Le spese per alimentari ed energia sono però comprimibili fino a un certo punto (in questo senso questi rincari sono una vera tassa sui poveri, nei paesi meno ricchi, ma non solo). Anche se nel 2008, quando il petrolio raggiunse i 145 dollari al barile, con un rialzo considerato come strutturale, i consumi di energia crollarono molto rapidamente. Soprattutto, e a sorpresa, negli Stati Uniti.
L'inflazione, quella vera, verrà dopo. Quando si manifesteranno i second round effects, gli effetti indiretti di cui spesso parla la Bce, gli unici che la politica monetaria possa aggredire. Verrà quando i rincari diventeranno generalizzati, le aspettative per l'inflazione futura tenderanno a crescere, le imprese cercheranno di aumentare i listini, i lavoratori gli onorari e poi gli stipendi... Sono questi i rialzi che l'aumento promesso dei tassi vuole contrastare, e in via preventiva. Se fossero alzati invece per "gestire" direttamente il caro-petrolio o il caro-cibo, si otterrebbe l'effetto di far arenare, bruscamente, la crescita. Frenerebbe anche la corsa dei prezzi, ma a che costo!
Gli investitori, probabilmente, saranno più veloci della Bce (che conta anche su questo effetto). Chi ha un mutuo o un prestito "variabile" legato all'andamento dei tassi di mercato potrà sentire l'effetto subito. Analogamente accadrà per le imprese. Anche perché l'euro potrebbe salire ancora: la prima reazione è stata una corsa verso l'alto, ma occorre ora aspettare su quali livelli e su quali trend si assesterà il mercato. Una valuta più apprezzata, come sempre, funzionerà in due sensi: renderà meno cari gli acquisti dall'estero - per esempio di energia e di materie prime -, ma anche meno convenienti le esportazioni. Alcune aziende saranno avvantaggiate, mentre per le altre si potranno ridurre i margini di profitto. Molte potranno comunque "coprirsi" dal rischio cambio.
La Bce procederà in ogni caso con i piedi di piombo, anche se gli analisti già si aspettano una stretta di almeno 75 punti base quest'anno, e nei casi più estremi una stretta di un punto e mezzo da qui all'anno prossimo. Difficilmente, però, forzerà i tempi rischiando di affogare la crescita o di mettere in difficoltà i governi dei paesi deboli. L'incremento dei tassi porta con sé anche l'aumento dei rendimenti dei titoli di stato (e delle obbligazioni in genere): un bene per risparmiatori e investitori a più lungo periodo, un male per i contribuenti dei paesi meno virtuosi che - prima o poi e in misura più o meno forte - saranno chiamati a pagare per le politiche che creano sprechi e alimentano le rendite invece della crescita.
Non sarà un periodo facile, quindi, tra prezzi in rialzo e occupazione stagnante. L'inflazione impone a tutti di stringere la cinghia. È il costo da pagare per una politica monetaria ultraespansiva che ci ha permesso di evitare una recessione più dura. Ora però occorre evitare di cadere da una crisi a un'altra, di diverso colore.
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