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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 07:45.

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Novemilaseicento miliardi di dollari , quasi 7mila miliardi di euro. A tanto ammontava a settembre la quantità di titoli di stato europei detenuti dalle banche del Vecchio Continente. Un boccone di dimensioni rilevanti, anche se inferiori a quelle precedenti la bufera Lehman, che la crisi del debito sovrano rende potenzialmente indigesto per gli istituti di credito. Cosa succederebbe infatti non solo in caso di fallimento di uno dei paesi più a rischio, ma anche di un semplice aumento generalizzato dei rendimenti degli stessi titoli? Le banche dovrebbero svalutare le proprie partecipazioni con ovvie conseguenze sul conto economico e le più deboli rischierebbero di far la fine dello stato sovrano, con una sorta di effetto domino.
La European banking authority (Eba) ha ben in mente il pericolo, non per niente ha incluso uno shock sui titoli di stato tra i parametri da tenere in considerazione nei prossimi stress test sulle banche (anche se le possibilità di aggirare i controlli da parte degli istituti non mancano). Anche la Banca centrale europea (Bce) ha di sicuro presente la questione, ma non la mette proprio al primo posto fra le priorità: Francoforte ha sì iniziato ad acquistare titoli di Stato dei paesi periferici in difficoltà (prima Grecia, poi Irlanda, ora Portogallo) dal giugno scorso per impedire un tracollo dei prezzi e quindi conseguenze dolorose sulle banche. Ma paragonati agli oltre 1.200 miliardi di dollari di Treasury detenuti dalla Federal Reserve, i 77,5 miliardi di euro ritirati dalla Bce appaiono una briciola.

E anche sotto questo aspetto si notano le differenze fra le politiche monetarie adottate sulle due sponde dell'Atlantico: se Washington inonda i mercati di denaro (favorendo soprattutto le banche che fanno trading) con l'obiettivo di spingere Wall Street, creare un effetto ricchezza e indurre le famiglie ad aumentare i consumi e in definitiva a ridurre quindi la disoccupazione, Francoforte resta legata al suo unico obiettivo, cioè favorire la stabilità dei prezzi. Così gli acquisti di titoli di Stato di Jean-Claude Trichet e soci sono pochi, mirati e, come se non bastasse, vengono sterilizzati con operazioni settimanali di drenaggio per impedire che la liquidità si trasformi in inflazione.
È l'impostazione rigida monetarista di stampo Bundesbank che trionfa in questo frangente e che prevale anche quando si risponde all'aumento dei prezzi delle materie prime mettendo in cantiere un rialzo dei tassi di interesse per aprile (sarebbe la prima volta nella sua pur breve storia che la Bce muove prima della Fed). E se ai bilanci pubblici dovranno pensare i governi dei singoli stati, alla solidità del sistema finanziario si contribuisce fornendo alle banche quantitativo illimitato di denaro a tasso fisso almeno fino all'estate. Per il modo di vedere della Bce sono comunque misure straordinarie di politica monetaria, soltanto i prossimi anni sapranno dire se saranno state anche sufficienti.

m.cellino@ilsole24ore.com

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