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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 07:45.

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Due notizie, una peggiore dell'altra, avrebbero dovuto ieri inquietare Timothy Geithner, ministro del Tesoro americano, e Ben Bernanke, presidente della Fed. La prima, filtrata quando ancora non aveva aperto Wall Street, è che il Total Return di Pimco, il maggior fondo obbligazionario al mondo, aveva a gennaio azzerato le posizioni in Treasury Usa. La seconda è che, da un recentissimo sondaggio di Jp Morgan, la percentuale di investitori intenzionati ad andare corti (al ribasso) sui titoli di stato americani, o comunque a restare sottopesati rispetto al benchmark, è balzata al 23% dal 6% della settimana precedente. Uno scarto così ampio non si vedeva dal gennaio 1997, avverte Jp Morgan. Di conseguenza la percentuale di chi intende restare neutrale sui Treasury è crollata dall'84% al 65%. Un cambiamento così non si vedeva da gennaio 1995. La cosa apparentemente sorprendente è che i titoli di stato non hanno affatto reagito alle notizie e, anzi, sono saliti in serata, dopo che nuovi titoli decennali per 21 miliardi di $ sono andati a ruba in asta (richieste 3,32 volte superiori all'offerta).

In realtà, la contraddizione è solo apparente. Le istituzione straniere (per lo più banche centrali) si sono prese una fetta pari al 53% dell'offerta, in netto calo rispetto al 71,3% del mese scorso. Ma la quota richiesta dai primary dealer (le grandi banche) è salita dal 27% al 40,5%. Perché questi investitori sono così desiderosi di tenersi in portafoglio titoli di lungo periodo che rendono appena il 3,5%, quando l'inflazione stimata dai loro stessi economisti dovrebbe salire al 2,4% nel secondo semestre? Primo, perché li terranno in portafoglio solo per pochi giorni; secondo, perché, rivendendone una parte dopo due settimane e l'altra dopo un mese, e tutte alla Fed, riescono a fare guadagni annui a due cifre percentuali: senza rischio di prezzo e senza impegnare denaro, poiché è la stessa Fed a garantire loro ampi finanziamenti a tassi quasi zero.

Un po' con i programmi permanenti (Pomo), un po' con quelli straordinari (QE2), la Federal Reserve è difatto il maggior compratore di titoli di stato americani. In bilancio ne ha per 1.250 miliardi di $, più di quanti ne ha in portafoglio la banca centrale cinese (1.160 mld). A fine giugno, concluso il secondo QE, si stima che possa detenere una quota superiore al 15% del debito pubblico americano. Con un siffatto compratore e con i tassi forzatamente tenuti bassi, sono anche cambiate le regole sul mercato dei titoli di stato che vive quasi solo della droga somministrata dalla Fed. E il Tesoro Usa ne trae grande giovamento: perché si assicura il collocamento di tutto il crescente debito pubblico, pagando interessi artificialmente bassi e perché beneficia di una valuta sempre più debole. Questa collusione della Fed con la politica si spiega con il doppio mandato che le è stato assegnato: stabilità dei prezzi e massima occupazione. Ma per le autorità monetarie del resto del mondo, questa collusione sta alterando il funzionamento dei mercati finanziari.

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