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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 13:26.

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Dopo l'impennata dei primi mesi dell'anno sulla scia delle tensioni in Nord Africa, il petrolio cambia rotta in conseguenza del violento sisma che ha colpito il Giappone. Il Brent di Londra cede 3 dollari a 110,67 dollari al barile dopo aver toccato un minimo di seduta a 109,90 dollari, il minimo dallo scorso 24 febbraio. Perde 3,82 dollari anche il light crude di New York, a 98,19 dollari al barile dopo essere sceso fino a 97,81 dollari.

A influenzare l'andamento delle contrattazioni oltre all'andamento negativo delle Borse mondiali, sono le previsioni di una possibile riduzione della domanda in Giappone, uno dei maggiori importatori di greggio al mondo. Il disastro ha messo fuori uso 6 dei 27 impianti di raffinazione del paese. Questo ha di fatto paralizzato il 31 per cento delle capacità di raffinazione dell'Arcipelago. Il Giappone è il quinto maggiore raffinatore al mondo, rileva l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) nel suo ultimo rapporto mensile.

I problemi immediati non sembrano invece riguardare le forniture di petrolio. Normalmente il Giappone importa 3,7 milioni di barili di greggio al giorno, prevalentemente da Arabia Saudita (29%), Emirati Arabi Uniti (21%), Qatar (12%), Iran (7%) e Russia (7%), ma dispone anche di ingenti riserve: a fine 2010 ammontavano a 590 milioni di barili, pari a 170 giorni di importazioni nette. «L'abbondanza delle riserve - aggiunge l'Aie - significa che i problemi riguardano piuttosto assicurare che gli approvvigionamenti giungano anche nelle aree più colpite» da terremoto e Tsunami.


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