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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:09.

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L'allarme nucleare è tornato in primo piano sui mercati delle materie prime verso sera, prima con le dichiarazioni avventate del commissario europeo all'Energia Guenther Oettinger – convinto, salvo poi rettificare, che le centrali fossero ormai «fuori controllo» – e poi con la notizia, circolata con toni più sommessi nelle sale trading, che diversi cargo erano stati respinti poco prima dell'attracco a causa degli eccessivi livelli di radioattività nei porti giapponesi.

Tra gli esportatori di cereali gira voce che questa sorte sia toccata ad almeno nove navi cariche di mais, frumento e soia, prodotti agricoli di cui il Giappone – povero non solo di minerali, ma anche di terreni coltivati – è uno maggiori importatori del mondo. Tanto è bastato per spingere nuovamente al ribasso il grano e il mais (quest'ultimo addirittura del 3,1% a Chicago, dove ha chiuso ai minimi da due mesi).

Anche i cereali in precedenza avevano seguito le altre materie prime al rimbalzo, in una seduta molto nervosa e volatile, che sembra aver temporaneamente accantonato le preoccupazioni sul Giappone, in parte forse per approfittare dei forti ribassi delle sedute precedenti, ma soprattutto per il riemergere di un altro allarme, non meno grave per le commodities: quello per il diffondersi delle rivolte nel mondo arabo.

Mentre la Libia continua ad essere teatro di sanguinosi combattimenti, la situazione in Bahrein si fa sempre più preoccupante: ieri ci sono stati almeno cinque morti e in risposta all'invio di truppe dall'Arabia Saudita, favorevole ai sunniti, è sceso in campo Teheran (filo-sciita), con dichiarazioni infuocate di Ahmadinejad e il ritiro dell'ambasciatore iraniano a Manama. Violente proteste si sono intanto registrate anche in Siria, in Yemen e in Algeria. Paesi quasi tutti cruciali per le forniture di petrolio e gas.

Non fosse stato per la tragedia del Giappone – che almeno nel breve termine rischia di far vacillare la domanda di materie prime – il petrolio avrebbe probabilmente registrato rialzi stellari in una giornata come ieri. Invece il Brent, dopo la caduta di oltre il 4% di martedì, si è limitato a recuperare l'1,9% a 110,62 dollari al barile, mentre il greggio americano Wti si è risollevato di appena lo 0,8% a 97,98 $/bbl, condizionato anche dalle statistiche sulle scorte Usa, che hanno evidenziato per la settimana scorsa un aumento degli stock di greggio (sia pure bilanciato da una forte riduzione di benzine e distillati).

Stupisce anche la performance modesta dell'oro, che ha riguadagnato quota 1.400 dollari l'oncia, ma senza muoversi significativamente al rialzo rispetto a martedì. In questo caso, spiegano gli analisti, il focus degli investitori era soprattutto sulla pesante riduzione del rating del Portogallo operata da Moody's, che ha fatto arretrare l'euro.

Quanto alle altre materie prime, il tentativo di rimbalzo è andato generalmente a buon fine. Al London Metal Exchange, dopo la batosta di martedì, soltanto l'alluminio è arretrato ancora, mentre il rame – che era finito ai minimi da oltre tre mesi, si è riportato con decisione oltre la soglia dei 9mila dollari per tonnellata. Recuperi significativi hanno registrato anche nickel, piombo e zinco, anche se è difficile considerare conclusa la fase di correzione: l'avvio della ricostruzione in Giappone appare ancora lontano, nonostante alcuni impianti industriali abbiano già cominciato un graduale ritorno alla produzione.

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