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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 08:08.

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Il rimbalzo di Tokyo non convince Europa e Wall StreetIl rimbalzo di Tokyo non convince Europa e Wall Street

Nel vedere l'indice Nikkei chiudere in rialzo del 5,68%, si poteva pensare che il panico non era più padrone della borsa giapponese. L'illusione è durata poco e s'è sgretolata con le nuove catastrofiche notizie sulle centrali nucleari. All'apertura di Wall Street, osservando la caduta dei vari Etf (fondi che replicano un indice) sul listino di Tokyo, s'è capito che il ribasso della borsa giapponese non è ancora finito. Il principale di questi Etf, il Msci Japan Index Fund, ha chiuso in ribasso del 3,8% dopo aver toccato un minimo del 5,2% verso le 16.00, quando in una inconsueta dichiarazione del commissario dell'energia europea s'è definita «fuori controllo» la situazione nelle centrali nucleari giapponesi. Le borse europee hanno chiuso replicando le perdite della vigilia (-1,55% lo Stoxx, -2% Francoforte, -2,2% Parigi, -1,7% Londra, -2,47% Milano); quelle americane, cedendo l'1,95% per l'S&P e l'1,89% per il Nasdaq, hanno pagato la relativa resistenza delle precedenti sedute.

S'è scoperto chi sta pesantemente vendendo titoli giapponesi: non tanto gli hedge fund, come sostenevano martedì gli operatori del Kabuto-cho, ma gli Etf quotati sulle piazze europee e soprattutto al Nyse. Solo a New York ve ne sono una decina specializzati sul listino di Tokyo e basta dare un'occhiata al volume degli scambi per rendersi conto della forte pressione di vendite creatasi martedì, quando l'indice era crollato di oltre il 10%. Il maggiore di questi Etf, il Morgan Stanley Japan Index Fund, ha scambiato due giorni fa 112 milioni di titoli ossia 16 volte più della media degli ultimi due mesi. L'impennata degli scambi già s'era vista lunedì ed è proseguita nella seduta di ieri.

Il fenomeno ha interessato tutti gli altri fondi che replicano fedelmente l'indice, compreso il più pericoloso di tutti, il Pro Shares Ultra Short di Msci, studiato per andare al ribasso con una leva di due: il quale ovviamente è salito del 7,9%. Se si pensa che sono continuate le vendite di future sul Nikkei (trattati in continua a Tokyo e altre piazze), si capisce come al Kabuto-cho, fin dall'apertura delle contrattazioni, piovano copiose vendite. Gli hedge fund, spiega una fonte londinese, sarebbero più propensi ad acquistare e non a vendere i titoli del Nikkei.

Ad appesantire Wall Street sono stati anche i dati macro sull'avviamento di nuove case negli Usa e sui permessi di costruzioni, entrambi ampiamente negativi. Basti pensare che i nuovi cantieri aperti sono diminuiti del 22,5%, in assoluto uno dei dati peggiori. Pessime notizie anche sul fronte dell'inflazione, poiché i prezzi alla produzione sono saliti nel mese dell'1,6% (contro lo 0,6% delle attese), portando il rialzo annuo al 5,6%. Oggi il ministero del Lavoro Usa pubblicherà l'andamento dei prezzi al consumo di febbraio, previsti in crescita al 2%.
Intanto prosegue l'indesiderato apprezzamento dello yen sul dollaro (79,8) e sull'euro (110,9). Nel primo caso il cambio ha sfiorato il record (79,70) dell'aprile 1995, toccato dopo il terremoto di Kobe, alimentando voci di un imminente intervento della Banca centrale giapponese. A far salire lo yen sono i capitali che molte istituzioni finanziarie stanno rimpatriando. A poco servono le operazioni della Boj per iniettare abbondante liquidità nel sistema. Ieri la Banca centrale ha offerto altri 5mila miliardi di yen (45 mld), e fanno 28 mila da lunedì (252 mld ). Gli analisti di UniCredit sostengono che la Boj, in questa situazione, non può tollerare un cambio sotto quota 80 con il $. Sotto questa soglia la banca interverrebbe aggressivamente in modo da scoraggiare la speculazione che gioca al rialzo sullo yen.

Negli Usa è continuata la discesa dei rendimenti dei Treasury: un po' per il cosiddetto «volo verso la qualità» e un po' sulla scommessa che la Fed non smetterà di acquistare titoli di stato quando finirà il secondo quantitative easing.

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