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Questo articolo è stato pubblicato il 19 marzo 2011 alle ore 09:25.

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L'astensione dal voto sul bilancio delle Generali è stato solo l'ultimo atto. Perché Vincent Bolloré, in perfetto stile tricolore, ha giocato da protagonista su più tavoli della finanza italiana, provando a forzare quell'accoglienza che tanto ha decantato a mezzo stampa nel pieno della polemica sulla reciprocità («Gli italiani sono molto accoglienti e sarebbe bene che gli altri facessero altrettanto, che ci fosse insomma un'adeguata reciprocità. Purtroppo non è sempre andata così, in particolare per quanto riguarda la Francia»). Forzatura che però questa volta non è riuscita. Vuoi perché il sistema di relazioni costruito negli anni è oggi meno forte rispetto al passato. Vuoi perché per la prima volta Bolloré e la "partecipata" Mediobanca non si sono mossi in sintonia.

Uno dei grandi banchieri italiani preannuncia così un cambio di scenario: «Non mi stupirei se alla fine i francesi siano costretti a uscire da Mediobanca». Del resto, ci sono almeno tre partite che hanno evidenziato la fragilità del sistema Bolloré: Trieste, appunto, ma anche Fondiaria Sai e Parmalat.

L'imprenditore francese si è astenuto dal voto sul bilancio del Leone sollevando dubbi sull'alleanza con i cechi di Ppf. Ma più che una vera polemica industriale, la mossa del vice presidente Generali è parsa come un pretesto per colpire la gestione e il management della compagnia. Bolloré è rimasto però isolato. Il cda di Generali (così come il collegio sindacale) ha rigettato in blocco le richieste del finanziere francese approvando i conti col voto favorevole anche del presidente, nonché grande alleato Cesare Geronzi. Un colpo di scena che – racconta chi conosce bene quel mondo – il finanziere proprio non se l'aspettava, forse convinto di poter replicare anche nella nuova gestione delle Generali quello storico asse garantito negli anni dalla presidenza dell'amico Antoine Bernheim. Tanto più che a Trieste ci si è trovati difronte al "paradosso" di una Mediobanca divisa a metà sul consenso, dato che piazzetta Cuccia è rappresentata da Bolloré (che si è astenuto) e dall'ad Alberto Nagel (voto favorevole).

Una diversità di vedute, quella con Mediobanca, constatata anche nel riassetto di Fondiaria Sai. Il vicepresidente delle Generali si è lanciato prima in acquisti fino al 5% di una compagnia concorrente di Trieste per poi agire da traghettatore per un altro concorrente, questa volta francese, nel capitale della stessa compagnia, Groupama, socio e alleato di Bolloré in piazzetta Cuccia. Il tutto secondo un vecchio disegno – rivela quello stesso banchiere che preannuncia Bolloré presto fuori da piazzetta Cuccia – che vedeva il passaggio di Fondiaria Sai a Groupama tra le condizioni poste in occasione dell'ingresso di Bolloré in piazzetta Cuccia sotto la gestione dell'ex ad Vincenzo Maranghi.

L'operazione Groupama, gestita in prima persona da Bolloré con la figlia dell'Ingegnere Jonella Ligresti, avrebbe creato un blocco in grado di pesare per il 15% in quella Mediobanca che è il primo socio delle Generali di cui Bolloré é vicepresidente: Bollorè, con una quota di Mediobanca del 5% (ma che può arrivare al 6%) insieme agli storici alleati di Groupama con un altro 5% e poi Fonsai con il 4% sempre nel patto Mediobanca. Con l'aggiunta che quella stessa FonSai sarebbe stata controllata da Groupama e da Bolloré (socio al 5%) rientrando, indirettamente, nella sfera francese.

Il blitz, che ha visto tra i primi oppositori proprio piazzetta Cuccia, storica banca di riferimento della famiglia Ligresti, e UniCredit, primo finanziatore del gruppo, non è riuscito, con un verdetto di sistema sancito dalla Consob. Allo stesso modo, secondo autorevoli ricostruizioni, sarebbe stato lo stesso Bolloré a portare a Mediobanca e Intesa l'opzione Lactalis per Parmalat, operazione che in questi giorni ha sollevato l'immediata reazione del mondo politico e il cui esito è ancora tutto da scrivere.

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