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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 15:11.

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I Ferrero al bivio tra Alba e CollecchioI Ferrero al bivio tra Alba e Collecchio

Non c'è il due senza il tre. Dopo Sme e Cadbury, Parmalat potrebbe essere la volta buona o si tireranno indietro? La famiglia Ferrero, nel suo quartier generale di Alba, dov'è nata la storia del colosso dolciario piemontese, medita in conclave. Abituale, ostinata e silenziosa la riservatezza: sta nel dna di Michele, 86 anni a giugno, "mister Nutella", e dei figli Pietro e Giovanni, entrambi ceo. Imprenditori con understatement subalpino, filigrana cattolica e attenta alla responsabilità sociale d'impresa. Li dicono uniti, nonostante molti adombrino lo scontro generazionale sulle strategie.

Il punto è se tirare il freno oppure compiere il passo: Collecchio potrebbe significare la discontinuità, dopo la scelta – anche felice – della crescita per linea interna, ma che non potrà mai consentire di spiccare il deciso balzo dimensionale. Già in altre due occasioni si era presentato il bivio. Nella lontana primavera 1985 – in quei mesi difficili che daranno origine a una lunga stagione di veleni – Michele Ferrero accettò di partecipare, con Barilla e la Fininvest di Berlusconi, alla cordata pronta ad acquisire la Sme, holding agroalimentare dell'Iri (controllava marchi come Cirio e Autogrill). De Benedetti s'inalberò: vide sfilarsi sotto gli occhi l'affare su cui aveva già firmato un pre-accordo tramite Buitoni. Non se ne fece poi nulla, com'è noto, perché l'allora governo Craxi bloccò tutto in giugno. Il resto è cronaca politica e giudiziaria. Ma di certo quella vicenda segnò negativamente il patron e lo convinse a tenersi ben alla larga da queste operazioni.

Trascorrono così 24 anni, nei quali la Ferrero s'irrobustisce ulteriormente e i figli di Michele assumono un ruolo in azienda. Tra il 2009 e il 2010 – ed è storia recente – si è presentata l'opportunità inglese di Cadbury (cioccolato, caramelle e quant'altro), ma i Ferrero, alla fine, hanno rinunciato, lasciando campo libero alla Kraft: troppi rischi. Il gruppo di Alba, eppure, ha dimensioni solide, neppur sfiorate dalla crisi globale. Con un network mondiale di 38 società operative, 18 stabilimenti (di cui 4 nel nostro Paese), circa 22mila dipendenti, vanta un consolidato intorno ai 6,3 miliardi e un utile netto oltre il mezzo miliardo. La consociata italiana – dati del bilancio civilistico per l'esercizio chiuso il 31 agosto scorso – fattura 2,3 miliardi (Mol a 267,8 milioni, +7,9% sul precedente esercizio, utile netto a 144,3 milioni, +24,6%) e conta quasi 6.400 addetti. «Qui da noi restano le consuete parole d'ordine», commenta l'avvocato Giuseppe Rossetto, vicino alla famiglia Ferrero, già sindaco di Alba e ora vicepresidente della Provincia di Cuneo: «Niente finanza creativa – dice –, ma progetti industriali concreti, economia reale, sobrietà e lavoro. Vero, le situazioni cambiano e forse la Parmalat sembra più sicura di Cadbury, ma sapranno valutare al meglio».

«Il modello italiano di governanance del capitalismo familiare è comunque al crocevia», osserva Giuseppe Berta, storico dell'economia alla Bocconi: «Il dilemma è: ampliarsi, magari percependo la diluizione del controllo come diminutio, oppure, alla lunga, implodere. Così va il mercato. La vicenda Bulgari brucia ancora tutti. È un problema di sistema, a mio avviso, che certo non si può pensare di cambiare per legge».
Il clima dei 150 anni favorisce la mobilitazione industriale patriottica? «Parmalat, per i Ferrero, mi pare una bella opportunità», interviene Guido Corbetta, titolare – sempre in Bocconi – della cattedra Falck sulle imprese familiari: «Significherebbe una diversificazione correlata interessante. La crescita per acquisizioni è una strada obbligata – insiste Corbetta –. Sovente il timore prevalente è di non riuscire a permeare con la propria cultura aziendale i nuovi arrivati. Ma con Parmalat ci sarebbe una piena complementarità. Orgoglio nazionale? Ormai i Paesi si confrontano sulla forza economica e mantenere la proprietà di marchi importanti sul nostro territorio è fondamentale».

f.antonioli@ilsole24ore.com

I PRECEDENTI
L'operazione Sme
Nel 1985 l'allora presidente dell'Iri, Romano Prodi (nella foto), ricevette il mandato dal Governo di privatizzare il comparto agroalimentare del gruppo e quindi venne decisa la venndita della Sme. Tra gli imprenditori disposti a rilevare l'azienda, o parte di essa, c'erano la famiglia Fossati, Pietro Barilla, Michele Ferrero. L'operazione non andò a buon fine.

L'operazione Cadbury
Tra il 2009 e il 2010 Ferrero tentò l'acquisto del gruppo dolciario britannico Cadbury, nelle mire anche gigante americano Kraft. L'operazione tuttavia si rilevò eccessivamente costosa e rischiosa tanto che Ferrero - nonostante avesse cercato appoggio della rivale Hershey - lasciò ilbero il campo a Kraft. Quest'ultima chiuse il deal con quasi 20 miliardi di dollari.
Domenica 20 Marzo 2011

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