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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2011 alle ore 13:39.

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Alla Casa del calcio di Nyon in molti hanno storto il naso assistendo alle girandole del calciomercato di gennaio. Chelsea e Liverpool si sono dati battaglia ingaggiando stelle del calibro di Torres, David Luiz, Suarez e Carrol. Un giro d'affari di oltre 150 milioni che ha fatto impallidire le trattative concluse in Serie A da Milan e Inter, che pure hanno rotto gli indugi – dopo una sessione estiva votata al risparmio – acquistando una decina di calciatori di prima fascia, da Cassano a Van Bommel, da Pazzini a Ranocchia.


Un tradimento da parte dei top club che a parole si sono sempre schierati a fianco di Michel Platini nella sua crociata contro il calcio dei super-debiti? Dal quartier generale della Uefa si sono affrettati a sedare qualsiasi tentanzione di "liberi tutti". «Il fair play finanziario va avanti. Nessuno slittamento», ha dichiarato e dichiara in ogni occasione Platini, che però sente crescere la titubanza, soprattutto in quei proprietari "paperoni", sempre più preoccupati di vedersi ingabbiati dalle nuove regole.


L'agenda del fair play, in ogni caso, va avanti. Dal 1° luglio 2011 tutte le operazioni saranno monitorate e a partire dai bilanci chiusi al 30 giugno 2012 scatteranno i controlli da parte del Panel di esperti nominato dalla Uefa e guidato dall'ex primo ministro belga Jean-Luc Dehaene. Chi si scosterà dal fair play e dal pareggio di bilancio dovrà darne conto e dovrà presentare una sorta di piano di rientro, un po' sul modello dell'Unione europea con i parametri di Maastricht. Nell'arco di tre stagioni – quelle che vanno dal 2011 al 2014 – sarà permesso un "rosso" inferiore ai 45 milioni di euro. Se si sforerà, in base alla gravità del "buco", si subiranno le sanzioni decise dal Panel, fino all'esclusione dalle coppe.


Nel successivo triennio – dal 2014 al 2017 – sarà accettato uno sforamento massimo di 30 milioni, mentre i conti della stagione 2017–2018 dovranno chiudersi in parità, nell'ottica del principio "un euro speso per ogni euro incassato". Potrebbe essere tollerata, tuttavia, una soglia fisiologica di perdite (5 milioni), soprattutto per quelle società che convoglieranno le proprie risorse su spese virtuose, investendo nelle infrastrutture per il vivaio o per la costruzione/ristrutturazione degli stadi.
La situazione economica del calcio del Vecchio continente, del resto, necessita di una sterzata. Nell'ultimo report della Uefa si segnala, infatti, che i proventi dei club di prima divisione delle 53 federazioni sono aumentati, nel 2009, rispetto all'anno precedente, del 4,8%, raggiungendo la cifra record di 11,7 miliardi di euro. Ma nello stesso periodo i costi sono quasi raddoppiati (+9,3%), arrecando al sistema-calcio una perdita record di 1,2 miliardi, il doppio del 2008 (oltre la metà dei club ha riportato perdite). Gli stipendi dei calciatori assorbono in media dal 61 al 64% dei ricavi, ma in Italia si arriva anche all'80-90 per cento. La crisi economica, poi, ha provocato un rallentamento dei trasferimenti che ha acuito le difficoltà finanziarie nei club dei paesi "esportatori" (Francia, Olanda e Portogallo) e circa 800 milioni di euro di pagamenti non saranno saldati prima di 12 mesi.


Nel report presentato a Nyon a gennaio gli esperti della Uefa sottolineano altri due elementi preoccupanti: gli investimenti nel settore giovanile restano scarsi; l'affluenza media negli stadi è rimasta stabile o è calata nella maggior parte dei campionati nazionali, anche per l'assenza di strutture adeguate. Solo il 19% delle società, del resto, possiede il proprio stadio e dunque non può contare su un asset patrimoniale fondamentale.
Un richiamo che sembra diretto soprattutto all'Italia. La legge sugli stadi, tra accuse di speculazione e beghe politiche, è impantanata da oltre un anno e mezzo alla Camera. Intanto i club continuano a disputarsi i diritti tv, un miliardo all'anno garantiti (fallimento di Dahlia a parte) fino alla prossima stagione. Ma se l'età dell'oro delle tv all'improvviso terminasse?

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