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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 07:39.

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Forse il decreto in arrivo da Roma potrebbe comprare tempo per consentire a un'ipotetica cordata per Parmalat di organizzarsi. Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ha spiegato che sono in corso incontri con i principali soggetti interessati con l'obiettivo di «far nascere un polo nazionale». Ma al momento lo scenario è confuso. Teoricamente, una volta pubblicato il decreto che consente di rinviare l'assemblea fino al termine del 30 giugno, potrebbe essere convocato un consiglio di amministrazione che, con motivazioni legittime, decida di sconvocare l'assemblea già chiamata per il 12, 13 e 14 aprile per l'approvazione del bilancio e il rinnovo del board.

Le liste già depositate per il consiglio del prossimo triennio dovrebbero restare valide, ma a logica se l'assemblea dovesse essere spostata dovrebbe essere consentito anche ad altri candidati di presentarsi. Il punto comunque non è chiaro. A oggi le liste presentate sono quattro. Quella di Lactalis, che ieri ha comunicato di avere perfezionato l'acquisto delle azioni dai fondi Zenit, Skagen e MacKenzie ed è salita a una quota diretta del 13,97% e a una potenziale, tramite equity swap, del 15%, per un totale del 28,97%. Quella di Intesa Sanpaolo, presentata col 2,14% del capitale, che ha ricandidato l'ad uscente Enrico Bondi.

Quella di Assogestioni che ha proposto l'unica lista sicuramente di minoranza, visto che ha indicato solo tre nomi. E quella dei fondi-pattisti che hanno venduto le loro azioni, ma non hanno ritirato la lista: si sarebbe potuto fare, come ha chiarito la Consob ai legali, ma non è un obbligo. Dunque in lizza resta ancora l'elenco di candidati che proponeva Rainer Masera come presidente e Massimo Rossi come ad protempore.

Di certo, comunque, il rinvio dell'assemblea non sarebbe nell'interesse del socio francese che si candida a diventare il partner industriale di riferimento e di fatto di controllo, se non sarà contrastato con un'Opa che al momento non sembra l'ipotesi più probabile. Nei giorni scorsi Giovanni Ferrero, esponente della famiglia proprietaria dell'omonimo gruppo dolciario, si è recato a Parigi per verificare, a quanto risulta, l'eventuale disponibilità di Lactalis a cedere il pacchetto di azioni Parmalat appena messo insieme. L'esito della trasferta è stato negativo.

Nel frattempo l'ad di UniCredit, Federico Ghizzoni, ha frenato sull'ipotesi di un coinvolgimento nella partita della banca di Piazza Cordusio a fianco di Intesa-Sanpaolo e Bnp. «La situazione è molto semplice – ha spiegato Ghizzoni – noi non siamo coinvolti in nessun piano strategico per Parmalat. Abbiamo una piccola partecipazione nella società originata dalla conversione del debito, ma non siamo coinvolti in nessuna discussione».

C'è però ancora l'interesse per il gruppo di Collecchio dei brasiliani di Lacteos che si erano fatti avanti, prima del blitz transalpino, per tastare il terreno in vista dell'eventualità di proporre un'integrazione industriale con uno scambio azionario. Ipotesi che, dovendo comunque passare per un'assemblea, a oggi non avrebbe chance di avanzare senza il sì del blocco francese.

Per Lactalis il rischio "politico" è comunque notevole, perchè il Governo ha preannunciato misure a protezione dei settori "strategici" tra cui l'agroalimentare che ancora non sono state definite. Nel frattempo il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, ha fatto sapere di aver chiesto informazioni a Lactalis e a Parmalat, finalizzate ad accertare se l'acquisizione del 29% da parte di Lactalis rappresenti di fatto una concentrazione. «Se c'è un problema concorrenziale sul mercato italiano, faremo richiesta di rinvio dell'istanza autorizzativa dalla Ue all'Italia».

In Borsa il titolo ha intanto rialzato la testa, con un progresso limitato all'1% che ha riportato le quotazioni a 2,316 euro tra scambi meno convulsi rispetto ai giorni scorsi ma comunque ancora vicini al 3 per cento.

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