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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 07:38.

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La cessione della Parmalat a un concorrente straniero non rappresenta soltanto una perdita per la filiera lattiero-casearia nazionale. Se i francesi della Lactalis riusciranno a mettere le mani sul colosso alimentare potranno «avere accesso a brevetti e modalità di lavorazione e ad impianti industriali unici che hanno consentito il primato di Parmalat in molti prodotti commercializzati». A dirlo è Calisto Tanzi, ex patron del gruppo di Collecchio fino al dicembre 2003, quando venne destituito per i falsi contabili e le truffe scoperte dopo il crack da 14 miliardi di euro. Con una condanna sulle spalle di 18 anni per bancarotta, per una volta l'ex patron si trova a parlare la stessa lingua del suo grande accusatore Enrico Bondi, che a suon di azioni legali ha dovuto ricostruire quel "gioiellino" che Tanzi aveva distrutto. Il risanatore, alla guida della Parmalat da sette anni, ha già fatto sapere di non voler mantenere un ruolo operativo al fianco dei francesi della Lactalis nel caso in cui dovessero assicurarsi la maggioranza in cda dopo l'assemblea.

Le peculiarità del gruppo alimentare emiliano, ha ricordato Tanzi - raggiunto telefonicamente da Il Sole 24 Ore - «stanno nella lavorazione del latte a lunga conservazione che viene effettuata negli stabilimenti della Parmalat attraverso macchinari protetti da segreti industriali. Produzioni che consentono di realizzare il migliore latte con qualità organolettiche che altri prodotti non hanno», ha aggiunto parlando attraverso il suo avvocato. Nel carnet della Parmalat, oltre al latte a lunga conservazione, si annoverano altri prodotti che «per modalità e ingredienti sono un unicum irripetibile». Per Tanzi il passaggio di mano ai cugini d'Oltralpe è soprattutto motivo di perdita affettiva e non nega di tifare per l'ipotetica cordata italiana. Si rammarica per quello che è stato il gruppo definito da lui stesso «la più bella impresa italiana, ma con i piedi d'argilla. Era forte sul piano industriale e tecnologico, non lo era, invece, su quello finanziario».

All'ad e commissario straordinario Bondi – al quale con un giro di valzer potrebbero sfilare il lavoro di sette anni, a cominciare dalla cassa da quasi 2 miliardi di euro – rimangono da portare a termine le cause contro le banche estere: quelle stesse che oggi chiedono contare nel consiglio di Collecchio.

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